I milionari a sinistra non portano fortuna. Ne è esempio la Norvegia, che ieri ha rinnovato i 169 seggi del Parlamento unicamerale in quelle che possiamo definire elezioni a loro modo storiche, avendo esitato come risultato la vittoria del centro-destra, che riesce così a ottenere un secondo mandato consecutivo al governo per la prima volta in oltre tre decenni di storia. La maggioranza della premier Erna Solberg (56 anni) perde qualche seggio, ma regge e ottiene 89 seggi contro gli 80 di tutte le opposizioni di centro-sinistra.

E pensare che fino a poche settimane fa, i sondaggi segnalavano una sconfitta pressoché certa per il governo uscente. All’inizio di quest’anno, ad esempio, il Partito Laburista di Jonas Gahr Store (56 anni) veniva accreditato del 35% dei consensi, mentre ieri ha riportato qualcosa sotto il 30%, perdendo 6 seggi e scendendo così a 49, pur restando primo, ma registrando il peggiore risultato dal 2001. (Leggi anche: Norvegia sceglie il suo futuro tra petrolio, tasse e immigrati)

E’ stata una notte amara per il milionario a capo del partito principale della sinistra norvegese, che aveva aperto la campagna elettorale da premier in pectore e, invece, da poche ore ha scoperto che sarà un semplice deputato di opposizione. Niente gaffes nella corsa verso il governo, ma ai suoi elettori non è piaciuto il suo pedigree familiare. L’uomo è un milionario, che ha ereditato un’impresa attiva nella costruzione di camini. E’ stato oggetto di varie attenzioni nelle ultime settimane per i suoi investimenti non “etici” in società del settore nucleare, così come per non avere pagato del tutto le tasse sulla ristrutturazione di casa, oltre tutto avvenuta con l’utilizzo di manodopera straniera.

Sinistra impallinata dall’economia

Ma la sconfitta storica del centro-sinistra è avvenuta anche e, soprattutto, per la ripresa economica in atto nella Norvegia, che nel biennio scorso ha dovuto fronteggiare sia la crisi del petrolio, sia quella dei profughi.

Entrambe sono state gestite bene da Solberg, che ha reagito alla prima, in particolare, attingendo al fondo sovrano da 1.000 miliardi di dollari e iniettando liquidità nelle casse statali. Per i prossimi 4 anni, la premier ha promesso una riduzione della spesa, grazie alla congiuntura migliore, così come un taglio delle tasse, mentre Store ambiva ad alzarle sui grandi patrimoni. (Leggi anche: Il salmone sceglierà il prossimo governo in Norvegia?)

Male anche i Verdi, che alla vigilia del voto venivano considerati possibile ago della bilancia, non essendosi schierati con alcuno dei due schieramenti. Ottengono appena il 3,3% dei voti e mantengono un solo seggio. Gli ambientalisti si erano spesi per uno stop alle trivellazioni nel mare Artico, sostenendo una riconversione “green” dell’economia norvegese.

Populisti restano al governo

Bene il Partito del Progresso, una formazione della destra “populista” anti-immigrati, ma meno radicale che nel resto della Scandinavia. Perde un seggio, ma ne conserva 28. Il leader Siv Jensen, ministro delle Finanze uscente, commenta la riconferma di stanotte del centro-destra quale frutto dell’avere mantenuto le promesse. Gli alleati liberali e cristiano-democratici superano il 4%, soglia necessaria per ottenere seggi extra in Parlamento, con i primi a ribadire il loro sostegno esterno al governo.

La storia di queste elezioni tra i ghiacci artici sembra emblematica del peso dell’economia alle urne. Data spacciata fino a pochissime settimane fa, la premier ha beneficiato ultimamente della vistosa ripresa dell’occupazione, grazie a una congiuntura migliorata. Il centro-sinistra si è trovato spiazzato per l’impossibilità di criticare credibilmente l’operato di un governo, che non sembra avere fatto male nei quattro anni appena trascorsi. Di certo, se la sinistra perde anche in una delle sue roccheforti, non riuscendo a contrastare l’avanzata della destra cosiddetta “populista”, è il segno che qualcosa in quell’area non stia funzionando.

A partire da leader spesso distanti dalle istanze e i sentimenti della base. (Leggi anche: Norvegia, si decide il futuro del petrolio)