Abbiamo intervistato per Investireoggi il Dott. Antonio Mastrapasqua, dirigente d’azienda e già presidente INPS. Le tematiche affrontate sono l’attualità economica e politica, spaziando alle pensioni al reddito di cittadinanza, passando per le riforme legate al Pnrr.

Quale sarebbe la soluzione dopo quota 100? Il ritorno alla legge Fornero la convince o il sistema previdenziale avrebbe bisogno di una certa flessibilità? E a quali condizioni?

Di certo non mi convincono le quote. Non mi convincevano quando la Lega ha voluto intestarsi quota 100, non mi piace l’idea di quota 102, che vuol dire solo rinviare di un anno una decisione non presa.

La previdenza è una materia seria, che segna la vita delle persone. Non è serio non consentire di programmare l’uscita dal lavoro, ed essere invece sempre appesi all’ultima trovata politica. Le persone devono poter sapere su quale scenario costruire il proprio futuro. La Riforma Fornero, con alcune ruvidezze smussate con ben nove salvaguardie, aveva impostato il futuro degli italiani e un orizzonte di sostenibilità finanziaria per i conti dello Stato. La previdenza ha bisogno di uno sguardo lungo, non di una continua manipolazione di regole e di attese. Quota 100 è costata circa 11 miliardi, finendo per favorire soprattutto i già favoriti: ne hanno fatto uso più uomini che donne, più al Nord che al Sud, più nella Pubblica Amministrazione che nel privato. La flessibilità è un valore se lo si sa agganciare alla previsione per il futuro. Altrimenti è solo materia per la politica.

Il sistema contributivo si mostra essenziale per garantire la sostenibilità delle pensioni nei decenni futuri, ma i giovani di oggi incasseranno verosimilmente assegni insufficienti per via dei contratti precari e dei bassi salari. Quali accorgimenti tecnici si sente di proporre?

Il problema vero è come assicurare ai giovani l’accesso al mondo del lavoro. Vale per i giovani, ma vale per tutti.

Senza lavoro non c’è pensione. È come guardare il dito e non la luna. Il tema è il lavoro. Con un lavoro regolare, remunerato adeguatamente non si dovrebbe temere il sistema contributivo. Il vero nemico per le pensioni dei giovani di oggi è il non-lavoro.

Crede che la previdenza integrativa potrà mai decollare realmente in Italia con una contribuzione obbligatoria al 33%? Con quali risorse i lavoratori dovrebbero altrimenti finanziare la loro vecchiaia?

Fino a quando saremo tutti intenti a utilizzare la pensione come un ammortizzatore sociale continueremo a spendere troppe risorse sul primo pilastro. E questo ci renderà impossibile fare ragionamenti completi sul secondo pilastro. Oggi la previdenza complementare riguarda meno di un terzo dei lavoratori. E non tutti pagano regolarmente i loro contributi. Questo vale per ogni forma di previdenza complementare, dai Pip a fondi chiusi. Si torna al tema del lavoro: solo con il lavoro si possono generare risorse per poter finanziare il sistema previdenziale e la propria posizione personale. 

E passiamo alla Pubblica Amministrazione. Il ministro Brunetta ha richiamato negli uffici i dipendenti pubblici, dichiarandosi contrario allo “smart working”. Eppure, i dati pubblicati dal presidente Inps, Pasquale Tridico, dimostrerebbero che la produttività nella PA sarebbe aumentata nel 2020. Qual è la sua opinione in materia?

Il dato della produttività nella PA si dovrebbe misurare solo con la soddisfazione dei cittadini-utenti. Al centro della Pubblica Amministrazione ci sono loro. I lavoratori pubblici sono al loro servizio. Lo smart working – nella PA e in gran parte delle aziende – è stato solo remote working, una misura intrapresa per motivi sanitari. Non c’è stata una riorganizzazione effettiva, che avrebbe dovuto porre in essere la migliore modalità di erogazione del servizio. Con l’house working dei lavoratori della PA certamente si sono creati problemi per cittadini, famiglie e imprese che hanno dovuto spesso rincorrere l’erogazione di un servizio essenziale.

Era inevitabile, è stato inevitabile. Il richiamo in ufficio mi sembra altrettanto inevitabile, in attesa di una riorganizzazione che possa supplire da remoto alle esigenze in presenza dei cittadini. 

Con il premier Mario Draghi, la politica italiana ha smesso di pensare al debito pubblico come un problema. Al di là di qualche fiammata, lo spread è sotto controllo, la BCE acquista i nostri bond e la Commissione ha sospeso il Patto di stabilità. Teme che tra un paio di anni al massimo avremo un brusco risveglio?

Mi lasci dire che io sono già sveglio. Mi meraviglio del torpore diffuso. Ha ragione il premier a ripetere che questo è il tempo di dare e non di chiedere, ma il problema è il consumo di spesa improduttiva. Lo spreco. La spending review è un argomento che sembra archiviato; nessuno sembra preoccupato dei rubinetti lasciati aperti senza controllo. Eppure, basta vedere a quanto è schizzato il rapporto debito/Pil. Con la narrazione del Pnrr e dei fatidici 240 miliardi di euro in arrivo (se arriveranno, visti i ritardi che abbiamo già accumulato) molti si sono distratti raccontando un mondo che non c’è. I media in questo hanno qualche responsabilità: il tasso critico è molto basso nei confronti del Governo dell’ultra-maggioranza. Io temo la tempesta perfetta; non mi basta registrare un Pil e +6% se non vedo la spesa sotto controllo, se non vedo grandi opere, se non vedo molto oltre ai bonus e ai superbonus.

Qual è il suo giudizio sull’operato del governo Draghi? E’ credibile affermare che abbia il merito della crescita al 6%? Non ha la sensazione che proceda spedito su temi apolitici, come il green pass e le vaccinazioni, mentre arranchi su quelli divisivi come tasse, giustizia e liberalizzazioni?

Grande successo la scrittura del Pnrr nei tempi (e nei modi) richiesti dall’Europa. Grande successo nella lotta a Covid-19 e nella campagna di vaccinazione, un plauso credo che debba andare al generale Francesco Paolo Figliuolo.

Poi confesso che ho visto poco altro. Una riforma della Giustizia che è solo un timido emendamento alla riforma del grillino Bonafede; sulle politiche attive per il lavoro non pervenuto. Il Dl concorrenza è stata un’occasione persa. Speravo nelle doti di un Draghi passista, invece è stato un ottimo sprinter, che sulla distanza mi sembra imballato.

Lei avrebbe rifinanziato il reddito di cittadinanza? Pensa che il sussidio stia disincentivando al lavoro o stia ponendo fine a uno sfruttamento diffuso, specie nel Meridione, della manodopera non specializzata?

Stiamo scontando l’ideologia, che voleva abolire la povertà. E stiamo scontando la confusione che ha voluto mettere insieme un intervento di pura assistenza sociale, con un percorso di inserimento nel mondo del lavoro. Su questa seconda parte il reddito di cittadinanza si è rivelato un totale fallimento. L’erogazione del sussidio, che continua ad avere le sue buone ragioni, ha seguito logiche e modalità inaccettabili. Nessun controllo preventivo, tant’è vero che le indagini di polizia giudiziaria hanno trovato il 30% dei sussidi erogati a persone che non ne avevano titolo. Soprattutto in Campania. Vuol dire uno spreco di quasi 3 miliardi di euro. Uno sproposito.

Se dovesse indicare le tre riforme più urgenti da implementare, quali sarebbero?

Innanzitutto una vera riforma della Pubblica Amministrazione fatta sulle esigenze dei cittadini e non dei dipendenti della PA. Una riforma delle pensioni definitiva, che metta in sicurezza i conti dello Stato e che sia socialmente sostenibile, e che soprattutto metta al riparo la previdenza dalla tentazione di essere un bancomat per le crisi occupazionali. E infine una vera riforma che sancisca la liberalizzazione dei servizi: il Dl Concorrenza è assolutamente insufficiente.

Un sistema politico che si fonda sul terrore del vincolo esterno a suo avviso potrà reggere ancora a lungo?

Siamo sempre affogati nei problemi della spesa corrente. Di investimenti si parla spesso, ma non si procede mai. I dibattiti sono frequenti, ma io non vedo gru in giro per il Paese. Le Grandi Opere sono evocate ma quasi mai progettate e mai costruite. Il Paese continua a essere bloccato. Il Pnrr è stato scritto bene, ora tocca di farlo bene, di realizzarlo bene, di costruire bene i progetti previsti.

Un’ultima domanda: Draghi presidente della Repubblica tra qualche mese sarebbe meglio o peggio di Draghi premier fino al 2023?

La domanda vera è: che cosa è meglio per il Paese? E aggiungerei una chiosa: siamo ancora concentrati sulle persone, sui leader, sulle loro evoluzioni, ma sembra che pochi riflettano sul Paese, sulla necessità di dare un quadro di riferimento che assicuri sviluppo e crescita a prescindere dal nuovo inquilino del Quirinale o di quello di Palazzo Chigi. Siamo tutti intenti ad adattare il Paese alle persone che lo guidano. Forse dovrebbe essere il contrario.

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