L’Italia è sta diventando un Paese di pensionati senza figli. Uno dei Paesi con il più alto tasso di invecchiamento della popolazione al mondo. Secondo le stime dell’Istat, nel 2023 la quota di persone ultra 65 enni è pari al 23,4%, contro il 16,1% del 2001. Si prevede che questa quota continuerà a crescere nei prossimi decenni, raggiungendo il 35,9% nel 2050.

L’invecchiamento della popolazione non è un fenomeno negativo di per sé, ma lo diventa se è accompagnato dal calo della natalità che non favorisce il ricambio generazionale.

E la natalità in Italia è in costante calo da decenni, con un tasso di fecondità che è attualmente pari a 1,26 figli per donna. Questo significa che ogni donna ha, in media, meno di due figli, il numero necessario per sostituire la generazione dei genitori.

Un Paese di pensioni senza figli

Di pari passo aumenta la vita media degli italiani. L’aspettativa di vita nel nostro Paese è in costante crescita e ha raggiunto gli 82,5 anni nel 2023. Questo significa che le persone vivono più a lungo e, di conseguenza, la popolazione anziana aumenta. Da qui il crollo demografico che comporta squilibri lavorativi e pensionistici non trascurabili per il bilancio dello Stato. L’Istat ci fa notare, infatti, che ad ogni bambino di età inferiore a 6 anni ci sono 5 ultra 65 enni (nel 1971 questo rapporto era di 1 a 1).

Pertanto, il crollo demografico è una delle principali sfide che l’Italia dovrà affrontare nel prossimo futuro. Questo fenomeno, che si manifesta con un calo della natalità e un aumento dell’aspettativa di vita, ha un impatto significativo su un sistema pensionistico basato sul principio della ripartizione.

Questo principio prevede che i contributi versati dai lavoratori attivi siano utilizzati per pagare le pensioni dei lavoratori inattivi. In un contesto di crollo demografico, il numero di lavoratori attivi diminuisce, mentre il numero di pensionati aumenta. Questo porta inevitabilmente a una riduzione delle risorse disponibili per il pagamento delle pensioni, che potrebbe portare a una riduzione delle pensioni e/o a un aumento delle tasse.

Cose già in atto da 12 anni.

Riforme insufficienti a sostenere le pensioni

Secondo le stime dell’Istat, nel 2023 in Italia il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati è di 1,6:1. Questo rapporto si prevede che scenda a 1,3:1 nel 2042 e a 1,1:1 nel 2050. Per far fronte a questa sfida, il governo ha introdotto una serie di riforme del sistema pensionistico. La riforma Fornero, introdotta nel 2011, ha aumentato l’età pensionabile e ha introdotto un sistema misto, che prevede una parte contributiva e una parte retributiva. La riforma Draghi, introdotta nel 2022, ha introdotto un sistema di flessibilità in uscita, che consente ai lavoratori di andare in pensione prima dell’età pensionabile prevista, ma con una penalizzazione sulla pensione.

Tagli sempre più dolorosi per tutti

Queste riforme hanno contribuito a ridurre il costo del sistema pensionistico, ma non sono sufficienti a garantire la sostenibilità del welfare nel lungo periodo. Per questo motivo, è necessario adottare ulteriori misure, come l’innalzamento dell’età pensionabile, i tagli alle pensioni anticipate e il ridimensionamento della rivalutazione degli assegni in base all’inflazione.

Questo perché la tendenza a spendere per le pensioni è in progressivo aumento, almeno fino ai prossimi 10 anni. Ma non sarà possibile permettersi di arrivare a coprire i costi delle pensioni con il 17% del Pil, come prevedono gli esperti. Serviranno altri dolorosi interventi all’assetto previdenziale.

Queste misure sono necessarie per garantire che le rendite siano sostenibili e adeguate nel futuro. Già oggi le pensioni pesano molto sul debito pubblico italiano. Diversamente si rischia il collasso in un Paese che già spende la metà del suo prodotto interno lordo per previdenza e assistenza (pensioni e sanità).

Del resto, l’invecchiamento della popolazione ha anche un impatto sull’economia italiana.

Innanzitutto, riduce la forza lavoro disponibile, che è necessaria per la crescita economica. In secondo luogo, aumenta la spesa pubblica per la sanità e l’assistenza sociale, che sono servizi di cui le persone anziane hanno bisogno.