In Italia, la spesa per le pensioni rappresenta una parte importante della spesa pubblica. Anche perché contnua a crescere, nonostante i tagli e le misure di contenimento continuamente adottate dal govenro.  Nel 2023, il costo salirà a 297,4 miliardi di euro, pari al 15,7% del Pil. Questo significa che, per ogni 100 euro di Pil prodotto dal nostro Paese, 15,7 euro vengono destinati al pagamento delle pensioni.

Il peso delle pensioni sul debito pubblico è ancora più significativo se si analizzano i dati di spesa nel loro complesso.

Per quest’anno il debito pubblico italiano è previsto salire oltre quota 2.900 miliardi di euro. Di questi, 1.400 miliardi di euro sono rappresentati dal debito pensionistico, ovvero dal valore attuale delle pensioni che saranno pagate in futuro agli attuali pensionati e ai lavoratori che andranno in pensione nei prossimi anni.

Aumenta il peso delle pensioni sul debito pubblico

Il peso delle pensioni sul debito pubblico è destinato a crescere nei prossimi anni. Non lo dicono solo i numeri fin qui analizzati, ma anche le previsioni elaborate dagli esperti e dall’Inps. Questo è dovuto a una serie di fattori, tra cui:

  • L’aumento dell’aspettativa di vita, che significa che le persone andranno in pensione più tardi e riceveranno le pensioni per un periodo di tempo più lungo.
  • La diminuzione del tasso di natalità, che significa che ci saranno meno lavoratori attivi a sostenere la spesa per le pensioni.
  • L’aumento dell’inflazione, che erode il valore delle pensioni.

Il peso delle pensioni sul debito pubblico rappresenta quindi una sfida importante per il nostro Paese. Anche perché l’indice di denatalità in continuo aumento e non si vede una inversione del trend col rischio che nei prossimi anni ci saranno sempre meno lavoratori per numero di pensionati. Un disequilibrio che rischia di mandare in malora la sostenibilità del sistema pensionistico.

Le misure a sostegno della spesa pensionistica

Per far fronte a questa sfida, il governo ha già da tempo iniziato ad adottare una serie di misure tampone.

Fra queste:

  • Aumentare l’età pensionabile;
  • Ridurre le pensioni;
  • Introdurre forme di previdenza privata complementare.

Scelte difficili, dolorose e complesse poiché dipendono da una serie di fattori. Tra cui le esigenze di tutela dei pensionati, la sostenibilità del debito pubblico e le condizioni economiche del Paese. La mannaia è caduta pesantemente sulle pensioni anticipate, ma non è detto che in futuro sia sufficiente questa misura.

Le pensioni anticipate, nonostante le proteste dei sindacati, hanno un impatto significativo sul debito pubblico. Questo perché, andando in pensione prima dell’età pensionabile ordinaria, i lavoratori ricevono le pensioni per un periodo di tempo più lungo.

Secondo le stime dell’Inps, ad esempio, il debito implicito creato da Quota 100 è stato di 38 miliardi per il triennio di sperimentazione 2019-2021. In altre parole, mandando in pensione i lavoratori a 62 anni (con 38 di contributi) si è creato nuovo debito pubblico che peserà negli anni a venire sulle future generazioni.

Futuro sempre meno roseo

Ma è del tutto evidente che i tagli alle pensioni anticipate non basteranno a contenere la spesa in futuro. Quali saranno, dunque, le prossime mosse? Nulla è lasciato al caso e si procederà per gradi. Anche se nessuno osa ammetterlo, i prossimi tagli riguarderanno le pensioni ordinarie con l’aumento dell’età pensionabile e il taglio degli assegni.

L’aumento dell’età pensionabile ordinaria è una misura che avrebbe un impatto significativo sul debito pubblico, ma che potrebbe essere difficile da attuare politicamente, a causa delle resistenze dei lavoratori.  Al momento, quindi, non è attuabile, ma fra qualche anno, quando arriverà l’ondata dei baby boomers ci saranno altre gatte da pelare per il governo. Sarà allora che si inventerà qualche stratagemma per colpire le rendite.

Come, del resto, è già avvenuto quest’anno con la manovra finanziaria per il calcolo delle pensioni anticipate degli statali.