Quanto è accaduto ieri è stato un risultato importante per l’Unione Europea, che dopo mesi di stallo è riuscita a sbloccare i fondi europei promessi all’Ucraina per tenersi finanziariamente a galla in una fase molto complicata della guerra contro la Russia di Vladimir Putin. Saranno erogati 50 miliardi di euro a Kiev, che non a caso replica soddisfatta e parla di “risultato storico”. Un fiume di denaro che era stato bloccato dall’Ungheria di Viktor Orban. Questi aveva usato il diritto di veto per opporsi, chiedendo in cambio che Bruxelles sbloccasse i pagamenti a favore di Budapest.

Parzialmente era già avvenuto e con ieri è stato sancito un principio di “proporzionalità” tra eventuale violazione dello stato di diritto e “congelamento” dei fondi europei.

Cosa prevede l’accordo di ieri sui

Da anni la Commissione lamenta che lo stato di diritto ungherese sarebbe violato dall’accentramento dei poteri in mano a Orban e al suo governo. Per questo ha sospeso l’erogazione degli stanziamenti in favore del paese dell’Europa centro-orientale. L’accordo trovato ieri ha a che fare con l’art.7 del Trattato dell’Unione Europea. Esso consente di punire un paese che non rispetta i principi elencati nell’art.2, ossia dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani. Per attivare la procedura, tuttavia, serve il consenso unanime degli altri stati membri. E l’Ungheria non è affatto isolata, avendo attualmente nell’Italia un paese alleato con la premier Giorgia Meloni.

Proprio Meloni ha discusso questa settimana tre volte con Orban, al quale ha fatto presente anche il caso che riguarda la nostra concittadina Ilaria Salis, portata in catene in tribunale. La mediazione di Roma si sarebbe rivelata fondamentale per giungere a un accordo. Non a caso, grande soddisfazione era espressa ieri da Palazzo Chigi, che faceva notare il ruolo determinante dell’Italia.

E perché questo accordo favorisce Roma in questo frangente?

Ruolo determinante di Meloni per sbloccare fondi europei all’Ucraina

Se Bruxelles non avesse raggiunto un’intesa, i fondi europei all’Ucraina sarebbero rimasti bloccati. Sarebbe stata una pessima figura per l’area a quattro mesi dalle elezioni europee di giugno. Un segnale di debolezza dinnanzi alla Russia di Putin. E a farne le spese sarebbe stata Ursula von der Leyen, presidente della Commissione uscente. La mediazione dell’Italia ha salvato la faccia a tutti, in primis proprio alla tedesca. Con buona pace del “galletto” Emmanuel Macron, refrattario a condividere le luci della ribalta anche solo per un istante con chicchessia.

Il rapporto tra Meloni e von der Leyen va consolidandosi sempre più da mesi. Vi ricordate cosa scriveva la stampa italiana quando nacque il governo di centro-destra nell’ottobre del 2022? Sarebbero stati cavoli amari per la premier, invisa in Europa e più che mai a von der Leyen. Ebbene, adesso scrive l’esatto opposto, cioè che l’asse franco-tedesco sarebbe persino geloso del rapporto tra le due donne. Si sono incontrate già sedici volte. Le abbiamo viste insieme in Tunisia per convincere il suo presidente ad accettare un accordo sui migranti in cambio di soldi. Nei giorni scorsi, hanno celebrato a Roma l’avvio del Piano Mattei in favore dell’Africa. E pochi giorni prima la tedesca si era recata a Forlì per monitorare le zone colpite dall’alluvione dello scorso anno e staccare un assegno.

Meloni e von der Leyen guardano alle elezioni europee

Si sarà anche creato un buon rapporto personale tra le due, ma la sintonia si deve a reciproche convenienze politiche. Alle elezioni europee i consensi si sposteranno a destra. Lo dicono i sondaggi. In teoria, una maggioranza tutta di centro-destra sarebbe possibile, ma dovrebbe includere anche i detestati euroscettici di Identità e democrazia a cui appartengono gruppi invisi come la Lega di Matteo Salvini e il Rassemblement National di Marine Le Pen.

Questi si collocherebbero al terzo posto dopo Popolari e Socialisti.

Meloni è a capo di Ecr, formazione conservatrice a cui appartiene la destra polacca da poco finita all’opposizione e che fa riferimento ancora al presidente Andreusz Morawiecki e a cui busserebbe presto alla porta anche il partito di Orban (Fidesz), cacciato dai Popolari. Tenere buoni rapporti con l’Italia sta servendo a von der Leyen per sperare in un secondo mandato. La nostra premier farebbe da sponda con l’area di destra e dopo le elezioni riuscirebbe forse finanche ad attirare qualche consenso tra Identità e democrazia (Le Pen?), consentendo la nascita di un’eventuale maggioranza-bis a sostegno dell’attuale presidente.

Prudenza del governo in Europa

A Meloni interessa far parte dei giochi. Lo impone il ruolo primario spettante all’Italia, paese fondatore dell’Unione, nonché l’esigenza di essere rappresentata a pieno titolo nelle stanze dei bottoni. La vita diventa incredibilmente più facile se hai un uomo tuo in Commissione, specie con deleghe chiave come su economia, conti pubblici, concorrenza, ecc. Basti pensare al trattamento sideralmente opposto che fu riservato al secondo governo Conte rispetto al primo. Cos’era cambiato? A parte che il PD aveva rimpiazzato la Lega nella maggioranza parlamentare italiana, il Movimento 5 Stelle si era rivelato determinante per eleggere proprio von der Leyen. Improvvisamente, il debito pubblico non fu più un problema, lo spread e i rendimenti sovrani crollarono e tra Roma e Bruxelles furono rose e fiori.

Sin dal suo debutto al governo, consapevole di non avere alleati in Commissione e tra i vertici comunitari, Meloni si è mossa con grande prudenza e senza mai irritare von der Leyen e il presidente del Consiglio, Charles Michel. I suoi attacchi sono stati, semmai, mirati contro Paolo Gentiloni e Christine Lagarde, rispettivamente commissario agli Affari monetari e governatore della Banca Centrale Europea.

Al primo ha rimproverato di non fare l’interesse dell’Italia, alla seconda di avere alzato troppo i tassi di interesse. Figuratevi quanto importi a tutti gli altri!

A cosa serve avere una Commissione “amica”

Cosa spera di ottenere Meloni in cambio di un suo sostegno al bis di von der Leyen? La famosa “flessibilità” fiscale tanto invocata da chiunque abbia governato l’Italia negli ultimi trenta anni. Tradotto: va bene abbattere il rapporto tra debito pubblico e PIL, ma fateci respirare. In parole ancora più umane: il risanamento dei conti pubblici deve procedere di pari passo al sostegno alla crescita. E poiché le regole si applicano ai nemici e s’interpretano per gli amici, la speranza di Roma consiste nel giungere a un clima di maggiore sintonia anche comunicativa, che aumenti l’ottimismo sui mercati circa la capacità del nostro Paese di tornare a crescere da un lato e di ripagare il suo immenso debito dall’altro.

Ci sarebbero altri capitoli di primaria importanza, tra cui la concorrenza. Lo stiamo vedendo con il caso Ita-Lufthansa. Avere un commissario ostile in questo campo può significare dover rinunciare a sostenere un’azienda pubblica o privata in crisi o non riuscire a venderla in tempi brevi e a condizioni vantaggiose. Così come le banche si gioverebbero di una Commissione meno ostile al fatto che detengano tanti titoli di stato nazionali. Per non parlare dell’immigrazione, con gli sbarchi incessanti sulle coste siciliane ignorati da istituzioni comunitarie a trazione nordica. E ci sono anche i fondi europei con il Pnrr, la cui implementazione dipende anche in parte dalla leale collaborazione tra stato e Commissione.

Non solo fondi europei, c’è da ricostruire la geopolitica

Per tutte queste ragioni Meloni sta impostando un rapporto personale con von der Leyen, che qualcuno ha ribattezzato “patto della piadina” dopo l’incontro avvenuto a Forlì a gennaio. Giova precisare che, al di là delle indiscutibili sorti politiche personali, in gioco vi è la capacità dell’Italia di tornare a diventare protagonista dei processi geopolitici in Europa, ammesso che in passato lo sia mai stata. Sarà una pura coincidenza, ma lo spread e la crisi incessante della nostra economia ebbero inizio negli stessi mesi in cui perdemmo la Libia quale unico stato facente parte della nostra sfera d’influenza. A pensarci bene, la Francia non è altro che un’Italia con una sfera d’influenza (pur sempre più ristretta in Africa) e riesce a far pesare tale condizione sul piano finanziario ed economico. Nel 2011 avremmo dovuto ricevere aiuto dall’amministrazione Obama dopo che per un decennio avevamo mandato i nostri militari in missione in Afghanistan e Iraq a sostegno degli Stati Uniti. Accade l’esatto contrario. E sui mercati non c’è pietà per chi non riesce a riscuotere i crediti.

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