Più o meno un anno e mezzo fa, l’Occidente comminava sanzioni durissime contro la Russia, in conseguenza della sua invasione dell’Ucraina. Gli analisti occidentali profetizzarono la caduta dell’economia russa di lì a breve. Il rublo effettivamente crollò subito ai minimi storici, quasi dimezzando di valore contro il dollaro a un cambio di 135. Solo che subito dopo iniziò a riprendersi. Gli scaffali vuoti in stile venezuelano a Mosca e nelle altre città della sterminata federazione non si sono visti.

Certo, molti prodotti inizialmente mancarono a causa dello stop alle esportazioni di Europa e Nord America. Tuttavia, l’embargo venne aggirato quasi immediatamente tramite triangolazioni commerciali. Basti guardare al boom di import-export tra Unione Europea ed economie come il Kazakistan.

Evitato tracollo economia Russia

Nel 2022 la Russia non ha vissuto un buon anno per la sua economia. Il PIL è sceso del 2,1%. Di certo, però, non si è trattato di quel duro colpo che l’Occidente pensava di infliggere a Vladimir Putin. Le cose sono andate molto meglio del previsto per il paese, che non a caso non è sceso a patti con Kiev e continua ad impantanarsi in una guerra apparentemente inconcludente. Anche grazie ai fondi sovrani istituiti nei decenni scorsi, le risorse per finanziare l’impresa bellica sono risultate congrue. Se non fosse per il “congelamento” di quasi la metà delle riserve valutarie in Occidente, qualcosa come 300 miliardi di dollari, la Russia avrebbe evitato grossi danni quasi del tutto.

Crolla avanzo commerciale

Ma se andiamo a guardare al rublo, notiamo che quest’anno un quarto del suo valore. Nelle scorse settimane, il cambio era risalito sopra 100 contro il dollaro. Venerdì scorso, era a 98. La Banca di Russia è dovuta intervenire per evitarne il collasso totale, alzando i tassi di interesse al 12%. Nel frattempo, l’inflazione ha rialzato la testa e a luglio era salita al 4,3%.

Cosa sta succedendo? E’ vero che le quotazioni del petrolio sono risalite a 90 dollari al barile, ma la Russia esporta meno greggio a causa delle sanzioni. E quello che vende all’estero, lo piazza su mercati come Cina e India a forte sconto. Ne è prova il fatto che nei primi sei mesi di quest’anno la bilancia commerciale ha esitato un avanzo di 57 miliardi di dollari. Nell’intero 2022, era stato di 282,3 miliardi.

Praticamente, Putin ha dinnanzi a sé un quadro preoccupante. Incassa meno dollari con il petrolio e non ha a chi vendere il gas. A differenza del greggio, questo necessita della costruzione di condutture verso i mercati di sbocco. E ci vogliono anni allo scopo. Tra l’altro, il prezzo del gas si è quasi normalizzato dopo il boom tra l’estate e l’autunno dell’anno scorso. In teoria, oggi la Russia può incassare quasi 9.000 rubli per ogni barile di Brent esportato contro i 6.000 di inizio 2022. All’atto pratico, invece, ne ottiene molti di meno.

Sanzioni mordono

Essendo tagliata fuori dai mercati dei capitali, l’aumento dei tassi di interesse non si rivela in grado di attirare i flussi finanziari dall’estero e, quindi, di rafforzare il rublo. E allora a cosa serve? Ad attutire la domanda interna. Paradossalmente, la resilienza dell’economia russa è diventata la principale inquietudine per la banca centrale. I consumi tengono, per cui le importazioni restano elevate. D’altra parte, l’offerta interna di beni e servizi non cresce per due ragioni: molti lavoratori non si trovano, perché sono stati mandati in guerra a combattere contro l’Ucraina; le aziende non possono attingere ai capitali stranieri per finanziare l’espansione della capacità produttiva.

Quest’anno, il ministero delle finanze stima una crescita del PIL del 2,5%. Se così fosse, la Russia avrebbe cancellato le perdite accusate durante il primo anno di guerra.

Ma le sanzioni mordono. I titoli di stato in valuta locale (OFZ) a 10 anni rendono attualmente il 12,50% contro meno dell’8,50% di inizio 2022. Formalmente, il paese è in default sul debito estero per l’impossibilità di effettuare pagamenti in dollari. La stretta sui tassi in corso avrà l’effetto di deprimere consumi interni e PIL, cioè di porre fine all’illusione che l’economia russa possa andare avanti senza capitali stranieri e semi-isolata nel mondo. Non è il collasso che in molti prevedevano e auspicavano, ma il cambio suggerisce che le cose per Putin non stiano andando granché bene.

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