Il presidente Miguel Diaz-Canel è fresco di nuovo mandato dopo che 459 dei 462 deputati dell’Assemblea Nazionale gli hanno rinnovato la fiducia per i prossimi cinque anni. Ciononostante a Cuba tira una brutta aria per il regime comunista post-castrista. A marzo si sono tenute le elezioni, chiaramente una farsa, visto che i candidati erano esattamente quanto il numero dei seggi da rinnovare ed espressione del solo partito comunista rivoluzionario ammesso. Non c’è modo per esprimere la propria insoddisfazione verso l’operato del governo.

Ed ecco che si è recato al voto solo il 75% degli aventi diritto. L’astensione è stata da record. Ai tempi di Fidel Castro si arrivava ancora al 95%. Tenete conto che ufficialmente ci sarebbe l’obbligo di andare a votare e non farlo significa esporsi al rischio di rappresaglie delle forze di polizia.

Fuga dall’isola

Un cittadino su quattro a Cuba ha deciso di votare “con i piedi”, cioè girando i tacchi rispetto ai seggi elettorali. Molti hanno fatto ancora di più: 300.000 persone sono fuggite dall’isola nel solo 2022 per recarsi negli Stati Uniti. In questi primi mesi dell’anno, altre 74.000 avrebbero lasciato il paese. E il dato è sottostimato, perché mancano all’appello quanti sono rimasti in altri paesi dell’America Latina e coloro che sono naufragati al largo delle coste della Florida.

Considerando che la popolazione sia di poco superiore agli 11 milioni di abitanti, in meno di un anno e mezzo il 3% dei residenti se n’è andato da Cuba. Per capire cosa abbia scatenato questa massiccia ondata migratoria, bisogna tenere a mente che l’economia domestica versi in crisi da molti anni. La pianificazione centrale in stile sovietico impedisce al paese di svilupparsi. Il resto lo stanno facendo le sanzioni americane, inasprite dall’amministrazione Trump prima che s’insediasse la nuova di Joe Biden. L’Avana confidava in un cambio di linea di Washington, ma non è accaduto ad oggi.

Inflazione alle stelle con riforma monetaria

Ad inizio 2021, al fine di rinvigorire l’economia e ridurre le inefficienze sul mercato dei cambi, il regime introdusse l’attesa riforma monetaria. Consistette nell’unificare il cambio duale esistente da una ventina di anni. La misura, pur necessaria, provocò una svalutazione di fatto del 96%. Dalla sera alla mattina, per 1 dollaro occorrevano 24 pesos cubani contro 1 solo del giorno prima. Non è bastato per frenare il collasso valutario sul mercato nero, tanto che successivamente la banca centrale ha fissato il cambio a 120 pesos per 1 dollaro. E per strada di pesos ne servono anche oltre 150 per comprare 1 dollaro.

La crisi del cambio ha fatto esplodere l’inflazione fino ad oltre il 200%, mandando in rovina milioni di famiglie, quando già le loro condizioni erano molto precarie. A tutto ciò si è aggiunta la pandemia. Dovete sapere che fino al 2021 la quasi totalità dei lavori che si potevano svolgere erano statali. Faceva eccezione il settore del turismo, che nel 2019 aveva registrato l’afflusso di oltre 4 milioni di presenze straniere. Un toccasana per molti cubani, i quali avevano così modo di arrotondare lo stipendio o di guadagnare veri e propri stipendi mensili ben superiori alla media e incassati perlopiù in dollari, euro, ecc. Poi, le restrizioni anti-Covid hanno azzerato il tutto. L’anno scorso, pur in ripresa, sull’isola sono arrivati 1,7 milioni di turisti, meno dei 2,5 milioni stimati dal governo. Per quest’anno l’obiettivo è fissato a 3,5 milioni. Nei primi quattro mesi sono stati 1,2 milioni gli arrivi, in crescita del 190%.

Cuba spera nel turismo

Il regime confida sul turismo per sperare in una ripresa dell’economia e nell’afflusso di valuta straniera. Il fatto è che Cuba sta perdendo appeal agli occhi dei turisti stranieri. Non solo le scene della repressione violenta delle proteste nell’estate del 2021 hanno fatto il giro del mondo; i servizi sono peggiorati, a causa della carenza di generi alimentari e persino di elettricità.

Molto frequenti i blackout, che stanno esasperando la popolazione locale. Insomma, farsi le vacanze a Cuba potrebbe trasformarsi in un’esperienza affatto gradevole.

Per la prima volta dalla rivoluzione del 1959 i cubani sfidano sempre più apertamente il regime comunista. Il rispetto sta venendo meno, sia perché le condizioni di vita peggiorano a livelli insostenibili e sia anche perché a reggere le sorti dell’isola non c’è più la vecchia guardia che aveva abbattuto il regime di Fulgencio Batista. Usciti di scena i fratelli Castro, resta la figura dimessa e per niente carismatica di Diaz-Canel. Consapevole delle difficoltà come mai da oltre sessanta anni a questa parte, Washington ha tutto l’interesse a tenere massima la pressione su L’Avana. La revoca delle sanzioni resta lontana.

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