Secondo gli economisti americani Carmen Reinhart e M. Belen Sbrancia , autori nel 2011 del saggio “The Liquidation of Government Debt”, due sono state le strade seguite dai governi e dalle banche centrali per abbattere il debito pubblico: l’inflazione e i prestiti forzosi. Questi ultimi, in particolare, non sono una novità per l’Italia. Nel lontano 1848, infatti, il Regno Sabaudo impose alla cittadinanza un prestito forzoso del 5% sul valore delle proprietà immobiliari e fondiarie, sui crediti ipotecari e sul commercio, accompagnando tale operazione all’emissione di titoli del debito pubblico.

Quasi un secolo più tardi, nel 1931, fu invece il governo fascista ad attuare il consolidamento delle finanze con la conversione forzosa dei titoli in circolazione con altri irredimibili. A distanza di anni si ripropone il tema della stabilizzazione del debito pubblico italiano. E c’è chi consiglia di ricorrere nuovamente allo strumento del prestito forzoso. A suggerirlo è l’ex membro del Consiglio degli Esperti del Dipartimento del Tesoro Francesco Cilloni in un breve documento intitolato “Alcune idee sul debito italiano”.  

PROPOSTA CILLONI: INVESTIMENTO FORZOSO IN UN FONDO TAGLIA DEBITO E DISMISSIONI PER 70-100 MLD

Secondo l’ex funzionario del Tesoro, occorre attaccare il debito pubblico agendo su due fronti: privatizzando una parte del patrimonio pubblico e chiedendo ai cittadini un piccolo prestito. La “proposta Cilloni” si prefigge di ridurre lo stock di quasi 100 miliardi di euro valorizzando asset pubblici di diversa natura, dalle partecipazioni azionarie in aziende quotate e non, ai crediti liquidi ed esigibili di pertinenza dello Stato e agli immobili residenziali e commerciali disponibili e non strategici. L’idea sarebbe quella trasferire a una società esterna alla Pubblica Amministrazione, ossia alla Cassa depositi e prestiti (Cdp), questi beni creando un Fondo Patrimoniale. Le quote del fondo avrebbero una durata di almeno pari a 10-15 anni, con un rendimento inferiore a quello dei BTP e con una cedola minima garantita.

Ai cittadini verrebbe richiesto di investire nel fondo come alternativa a una tassa patrimoniale “una tantum”. Una volta trasferite ai privati le quote del fondo, lo Stato userebbe queste dotazioni per riacquistare sul mercato secondario i titoli del debito pubblico emessi a tassi di rendimento elevati, un’operazione che ridurrebbe marginalmente i costi di rifinanziamento e, fatto non trascurabile, contribuirebbe a italianizzare i nostri Titoli sottraendoli alle pressioni della finanza internazionale.