Questa settimana, Bitcoin ha toccato un nuovo massimo storico a 73.500 dollari, segnando un rialzo da inizio anno superiore al 75%. Molti si chiederanno quale possa essere il modo per sfruttare a proprio favore questo trend rialzista che va avanti oramai dalla fine del 2022. E se richiedessimo alla nostra azienda di farci pagare lo stipendio in Bitcoin? La questione è controversa e quanto mai complessa.

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Stipendio in Bitcoin in Italia

Le “criptovalute” non hanno ricevuto un vero riconoscimento nel nostro ordinamento, sebbene un passo in avanti forte in tal senso è stato compiuto lo scorso anno con la legge di Bilancio e il Markets in Crypto-Assets Regulation.

Il legislatore ha finalmente offerto certezze sul fronte dell’imposizione fiscale. Le “criptovalute” sono considerate asset patrimoniali e, in quanto tali, scontano una tassazione del 26% sulle plusvalenze eventualmente realizzate. Esiste una franchigia di 2.000 euro. Se non superata, non dà vita ad alcuna base imponibile.

Ecco la tassazione

E adesso cerchiamo di ragionare sulla possibilità di ricevere lo stipendio in Bitcoin o almeno parte di esso. La nostra legislazione dà sostanzialmente per scontato che la retribuzione del lavoratore sia erogata nella valuta legale: lira italiana fino agli inizi del 2002; successivamente in euro. Esiste, comunque, la possibilità per il datore di lavoro di corrispondere in cambio della prestazione del dipendente elementi retributivi di natura non monetaria. In quanto tali, vanno assoggettati alle medesime aliquote Irpef e ai contributi previdenziali ordinari.

Questi elementi della retribuzione vanno calcolati al loro costo nel momento in cui è avvenuta l’erogazione. Applicando questo schema, lo stipendio in Bitcoin sarebbe formalmente possibile. Il lavoratore dipendente dovrebbe pagarci le stesse aliquote Irpef dovute sulla retribuzione monetaria, tenuto conto del costo di acquisto per il datore della “criptovaluta”. E sarebbe altresì tenuto a versare all’Inps i contributi previdenziali di sua competenza, così come il datore di lavoro dovrebbe pagare per la sua parte ben più cospicua.

Diversi casi possibili

Ma le casistiche possono essere diverse. Il lavoratore potrebbe richiedere di ricevere lo stipendio in Bitcoin per la parte variabile. E’ il caso degli schemi retributivi incentivanti. Pensate a quelli che vengono definiti premi di produttività. La legislazione prevede per il 2024 un’aliquota sostitutiva del 5% per somme corrisposte fino a 3.000 euro nell’anno solare e purché il reddito del lavoratore non abbia superato gli 80.000 euro lordi nell’anno precedente. Sopra tale soglia, l’aliquota raddoppia al 10%, che resta nettamente inferiore alle aliquote Irpef ordinarie. La più bassa è del 23% sui redditi fino ai 28.000 euro.

E ci sono i “fringe benefits”, vale a dire quelle erogazioni non monetarie del datore di lavoro, il cui intento consiste nel migliorare il welfare a favore dei dipendenti. Parliamo di buoni pasto, buoni spesa, sostegni alle utenze domestiche, ecc. Per quest’anno, l’esenzione fiscale è prevista fino a 1.000 euro, importo nettamente aumentato dai precedenti 258,23 euro. E nel caso in cui il lavoratore avesse figli a carico, salirebbe ancora a 2.000 euro. Questi importi non sono computati nel reddito. Tuttavia, una volta superati, su di essi grava l’ordinaria tassazione per intero e non soltanto sulla parte eccedente la franchigia riconosciuta.

Perdite compensabili e obblighi dichiarativi

Dunque, lo stipendio in Bitcoin può, in teoria, essere ricevuto quale componente dello stesso o per la sola parte variabile o in forma di “fringe benefit”. In ogni caso, varrebbero le medesime previsioni fiscali per la retribuzione di tipo monetaria e non. La “criptovaluta” sarebbe trattata fiscalmente al suo costo di acquisto. Ma non è finita. Nel caso in cui l’asset fosse mantenuto in portafoglio dal lavoratore e generasse una plusvalenza, questa sarebbe ovviamente tassata al 26% per la parte eccedente i 2.000 euro.

E se riportasse una minusvalenza? La perdita superiore ai 2.000 euro potrà essere compensata con eventuali plusvalenze fino ai successivi quattro periodi d’imposta. Esisterebbero, comunque, anche obblighi dichiarativi in capo al lavoratore. In sede di denuncia dei redditi, dovrebbe compilare il quadro RT relativo al “reddito prodotto effettivamente”. E al quadro RW per la parte relativa alla “potenzialità di produrre reddito”.

Stipendio in Bitcoin caso ancora rarissimo

Ad oggi, la richiesta di stipendio in Bitcoin va considerata un caso rarissimo. Le “criptovalute” non sono molto diffuse nel nostro Paese, meno che mai è opinione tra i lavoratori che possano trasformarsi in un mezzo di pagamento della retribuzione. Sono percepite altamente volatili, rischiose, con scarsa o nulla utilità pratica e possibilmente oggetto di divieti legali. Tuttavia, il boom delle quotazioni ai nuovi massimi storici pone un interrogativo sull’opportunità di rendere partecipi i lavoratori a un trend favorevole, con effetti positivi per entrambi i lati del mercato.

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