Il prezzo del petrolio è sceso questa settimana per la prima volta da inizio gennaio sotto la soglia degli 80 dollari al barile. E se il discorso vale per il Brent, per il WTI americano la discesa è avvenuta sotto i 75 dollari. Rispetto al picco di oltre 120 dollari toccato a giugno, siamo a un crollo superiore a un terzo. E l’aspetto più interessante di questo calo riguarda il fatto che sia avvenuto dopo la riunione dell’OPEC+. Il cartello petrolifero, anziché tornare ad aumentare la produzione come sembrava alla vigilia, ha lanciato segnali in senso opposto: produzione ferma, ovvero mantenimento del taglio dei 2 milioni di barili al giorno fino alla fine del 2023; e se servisse, ulteriore taglio per stabilizzare i prezzi.

Questa decisione avrebbe dovuto impattare sul prezzo del petrolio, spingendolo all’insù. Se è accaduto il contrario, è perché il mercato l’ha recepita come la conferma di prospettive negative per l’economia mondiale. In altre parole, l’organizzazione guidata dall’Arabia Saudita non aumenterebbe l’offerta per il timore che presto la domanda arretri a causa della crisi accusata, in particolare, dall’Europa.

Si allentano timori su petrolio russo

E da questo lunedì è entrato in vigore l’embargo di Europa e Stati Uniti contro il petrolio russo. Il greggio da Mosca potrà continuare ad affluire nel Vecchio Continente solo se venduto a un prezzo non superiore ai 60 dollari al barile. Il mercato ha temuto per mesi questo scenario. Nel caso in cui la Russia si rifiutasse di accettare tale condizione, smetterebbe di venderci il suo greggio. E il mercato globale rimarrebbe teoricamente scoperto di qualche milione di barili al giorno.

Tuttavia, i timori sono stati allontanati. Al di là delle minacce verbali di Mosca, le esportazioni verso l’Europa non stanno venendo meno. E se anche diminuissero nei prossimi mesi, per gli analisti si tratterà si un semplice riposizionamento: la Russia dirotterà il suo petrolio in Asia e l’Europa lo acquisterà da altri fornitori, come quelli del Golfo Persico.

Alla fine sarebbe un gioco a somma zero.

Rischio di recessione europea

Ma è ineludibile il fatto che il prezzo del petrolio stia scendendo per via delle prospettive fosche dell’economia globale. La crisi dell’energia, provocata soprattutto dai rincari del gas in Europa, rischia di mandare in recessione il continente. E la stessa Cina stenta a tornare a crescere ai livelli pre-Covid. Quest’anno, il suo PIL dovrebbe aumentare solo del 3,2%. La politica di “Covid zero” del governo di Pechino sta impattando negativamente la crescita della seconda economia mondiale.

Si salva per il momento da questo scenario negativo l’America. Non ci sono ancora indizi forti dell’arrivo di una recessione per il mercato a stelle e strisce. Se vogliamo, questo sta garantendo al petrolio di reggersi su quotazioni storicamente ancora elevate. Sta di fatto che il recente indebolimento del dollaro, che si sta accompagnando alla discesa di Brent, dovrebbero rallentare l’inflazione nell’Eurozona. A meno che il gas non giochi qualche brutto scherzo. Nelle ultime settimane, si mostra in rialzo per l’arrivo dell’inverno, che comporta un aumento dei consumi di energia.

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