Al reddito di cittadinanza serve un tagliando e il governo Draghi sta approntando alcune modifiche per cercare di rendere il sussidio un minore disincentivo al lavoro ed evitare che troppi “furbi” lo incassino indebitamente. In Parlamento, il Movimento 5 Stelle ha presentato una proposta con la quale punta a ridurre da 10 a 8 gli anni di residenza sul territorio nazionale per fare domanda. A partire dal 2023, poi, il requisito scenderebbe a 5 anni.

Nel 2018, quando il reddito di cittadinanza fu varato dal primo governo Conte, la Lega insistette per ottenere un periodo congruo di residenza in Italia, al fine di evitare che il sussidio fosse intascato perlopiù dagli immigrati.

Date le scarse risorse a disposizione, ciò avrebbe impedito l’accesso a numerose famiglie italiane. La Commissione Saraceno, così chiamata in quanto presieduta dalla sociologa Chiara Saraceno, è stata istituita al Ministero del Lavoro con il compito di presentare possibili modifiche per migliorare il sussidio. Nel decalogo stilato e sul tavolo del ministro Andrea Orlando da settimane, compare proprio la riduzione degli anni di residenza necessari per fare richiesta.

La proposta va inquadrata secondo l’obiettivo di erogare il reddito di cittadinanza a tutte le famiglie che ne abbiano effettivamente bisogno per cercare di abbattere i livelli di povertà nel nostro Paese. Ma i rischi di una tale soluzione potrebbero superare i benefici. A parità di risorse, molti stranieri riuscirebbero ad ottenere il sussidio a discapito degli italiani. Peraltro, non è spesso facile capire quali siano le consistenze patrimoniali di chi arriva dall’estero, magari da uno stato carente nello scambio di informazioni con il resto del mondo.

Reddito di cittadinanza attrazione per stranieri poco qualificati

Se già stiamo avendo fin troppi problemi per capire chi tra gli italiani abbia diritto o meno al reddito di cittadinanza, figuriamoci tra gli stranieri, parecchio soggetti al lavoro nero e all’economia sommersa.

Molti immigrati rischiano di risultare poveri pur non essendolo. Certo, questo è un problema che sussiste già oggi, ma ampliando la platea dei beneficiari diverrebbe ancora meno gestibile. Peraltro, rischiamo di trasformare l’Italia in una meta del turismo del welfare. Un fenomeno che si è verificato già nel Nord Europa, dove nella stessa generosa Germania non sono mancati in questi anni i dibattiti e i provvedimenti circa le limitazioni dei benefici assistenziali agli stranieri residenti da poco tempo.

Non dimentichiamo che formalmente la questione portò alla rottura tra Londra e Bruxelles con la conseguente indizione del referendum sulla Brexit da parte dell’allora governo Cameron, preoccupato della facilità con cui gli stranieri dell’Est Europa riuscivano a ottenere sussidi nel Regno Unito senza avervi spesso neppure lavorato. Garantire un assegno fin sopra i 1.000 euro al mese alle famiglie senza reddito significa attirare centinaia di migliaia di immigrati, magari arrivati in Italia con l’intento proprio di sfruttare il generoso sistema del welfare.

Infine, ne scaturirebbe anche un problema di “qualità” della manodopera in ingresso. Il reddito di cittadinanza facile agli stranieri attirerebbe probabilmente lavoratori poco qualificati, i quali confiderebbero nel sussidio per il caso in cui rimanessero senza occupazione. Non sarebbe di certo un incentivo a tirarsi su le maniche tra coloro che il pensiero politico dominante sostiene paghino le nostre pensioni. Al contrario, la bilancia inizierebbe sempre più decisamente a pendere dal lato dei costi. E questo un’economia con un tasso di occupazione così basso come il nostro non può permetterselo, salvo chiudere per default.

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