Si attestano a 84 dollari al barile le quotazioni del Brent stamattina, in calo dall’apice degli 86 dollari raggiunti nella serata di ieri. La minaccia del presidente russo Vladimir Putin di tagliare le forniture di petrolio all’Europa non sembra avere impressionato più di tanto i mercati. Ieri, il Cremlino ha fatto sapere che bloccherà le esportazioni verso quei paesi del G7 che applicano il tetto al prezzo del greggio. A inizio dicembre, i 27 stati dell’Unione Europea trovarono una difficile intesa, in base alla quale sono vietate le importazioni di petrolio russo a quotazioni maggiori dei 60 dollari.

L’embargo riguarda anche servizi annessi come il trasporto su nave e l’assicurazione del carico.

Giù esportazioni russe

In realtà, Putin avrebbe ancora oggi poco di cui lamentarsi. Il cosiddetto “Ural”, cioè il greggio made in Russia, è venduto a Cina e India a forte sconto sulle quotazioni internazionali. In questi giorni, risulta scambiato a 50 dollari. E la Russia tutto può in questa fase, fuorché rischiare un calo delle esportazioni petrolifere. Queste a novembre sono scese a 15,8 miliardi di dollari, il secondo mese più magro dopo settembre. E ciò, malgrado i barili venduti all’estero siano saliti a 8,1 milioni al giorno, il dato più alto dall’aprile scorso.

L’Agenzia internazionale per l’energia ha altresì stimato un calo delle esportazioni di petrolio russo di 1,4 milioni di barili al giorno per il 2023. Lo scenario a cui punterebbe Putin sarebbe quello di un’impennata dei prezzi del greggio tagliando l’offerta, così da accrescere le entrate e infliggere perdite al Vecchio Continente. Tuttavia, le cose potrebbero andare nella direzione opposta. In primis, proprio Cina e India potrebbero non accettare più di acquistare da Mosca a prezzi considerati troppo alti. Secondariamente, il vento di recessione economica che soffia sull’Europa sta già da settimane deprimendo le quotazioni delle materie prime.

Non solo petrolio, giù anche prezzo del gas

Pertanto, la Russia rischia di vendere meno e a prezzi più bassi. D’altra parte, è pur vero che le Riserve Strategiche di Petrolio negli USA siano scese di circa 220 milioni di barili quest’anno e ai minimi da una quarantina di anni a questa parte. Per contro, altri produttori nel mondo potrebbero approfittare dei prezzi ancora relativamente elevati di questa fase per aumentare le estrazioni. La Russia confida nell’Arabia Saudita, principale esportatore mondiale a cui da anni è legata da un accordo in seno al cosiddetto OPEC+. Altri membri del cartello, tuttavia, potrebbero mostrarsi meno rispettosi delle quote di produzione loro assegnate.

Ad ogni modo, anche il rublo svelerebbe le criticità dell’economia russa. Dopo il boom sorprendente dei mesi scorsi, il tasso di cambio contro il dollaro perde il 14% nell’ultimo mese. Adesso, si trova ai livelli più deboli dal maggio scorso. Sarebbe la conferma che la bilancia commerciale non brilli e che le minacce di Putin siano armi spuntate. Impantanato in una guerra in Ucraina che avrebbe dovuto essere “lampo”, il presidente russo assiste impotente anche al tracollo delle quotazioni del gas. Alla borsa olandese, scambia oggi a 77,50 euro per Mega-wattora, il prezzo più basso da inizio giugno. Il meteo clemente sta dando una forte mano all’Europa, i cui consumi di gas tra settembre e novembre risultano scesi in media del 17% su base annua.

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