Alla vigilia di San Valentino è accaduto un fatto clamoroso, non tanto per l’avvenimento in sé, quanto per la velocità con cui si è materializzato. Il prezzo del cacao è salito per la prima volta sopra 6.000 dollari per tonnellata sui mercati internazionali, segnando un rialzo di oltre il 37% da inizio anno. E, soprattutto, ha infranto ogni record precedente. Il precedente risaliva niente di meno che al luglio del 1977, quando la quotazione era schizzata a 4.663 dollari. Anche se nelle ultime sedute c’è stato un certo ripiegamento sopra i 5.500 dollari, le quotazioni risultano più che raddoppiate su base annua.

Prezzo del cacao da record

Prezzi del cacao verso un nuovo raddoppio?

E gli analisti avvertono che presto potrebbero raddoppiare ancora fino a 10.000 dollari. Del resto, basti guardare al trend storico per capire che dagli inizi del Duemila il prezzo del cacao punta solamente a salire. E da circa un anno e mezzo a questa parte è partito un rally spettacolare. Il grafico di cui sopra ci fornisce un andamento iperbolico che non accenna ad arrestarsi. E tutto questo ha a che fare con l’Africa, anzi con un suo spicchio.

Dovete sapere che i tre quarti della produzione di cacao si hanno in soli quattro paesi: Costa d’Avorio, Ghana, Camerun e Nigeria. E la prima da sola pesa per il 40% dei consumi mondiali. In un’annata normale, riesce a produrre 2 milioni di tonnellate di chicchi. Nella stagione in corso, le aspettative sono per un calo che sfiorerebbe il 30%. Qualcosa come circa 400 mila tonnellate in meno. E similmente dicasi per gli altri produttori dell’area.

In Africa poche coltivazioni e vecchie

Cosa sta succedendo di preciso? Mentre i consumi globali continuano a salire, l’offerta si contrae e il mercato nel 2024 registrerà il suo terzo deficit consecutivo. E’ atteso nell’ordine delle 400 mila tonnellate, per coincidenza quanto la minore produzione ivoriana, mai così alto nella storia.

Di riflesso, il prezzo del cacao non può che esplodere. Febbraio è tipicamente un mese di boom delle esportazioni della materia prima. Ma dai porti africani i container non stanno partendo. Motivo? I raccolti sono bassi.

Si fa presto a dire riscaldamento globale. I fenomeni atmosferici c’entrano senz’altro sui bassi raccolti. Ma ad avere colpito è stato perlopiù El Niño. Le piogge abbondanti hanno provocato un eccesso di umidità. Il resto lo sta facendo l’uso ridotto di fertilizzanti e pesticidi, sintomatico degli scarsi investimenti che da decenni si effettuano in questo comparto dell’economia africana. Le ultime piantagioni risalgono ad inizio anni Duemila. Da allora, i contadini non hanno più messo a coltura nuovi terreni per fare crescere piante di cacao. Non ne valeva la pena.

Domanda concentrata tra i paesi ricchi

In effetti, siamo dinnanzi a un paradosso. I consumi salgono costantemente, l’offerta resta grosso modo stabile, ma gli agricoltori africani non riescono ad approfittare del boom. Un po’ per le modalità peculiari di questo mercato, i cui prezzi negli stati produttori vengono tenuti sotto stretto controllo dai governi. L’obiettivo consiste nel mitigare l’impatto dei cicli “boom and bust” sui redditi degli agricoltori, ma ciò finisce per tenere costante la produzione anche negli anni in cui converrebbe aumentarla per capitalizzare dagli aumenti dei prezzi internazionali.

Ad esempio, per questa stagione agli agricoltori ivoriano saranno pagati 1.000 franchi CFA o 1,64 dollari per ogni kg di cacao raccolto. Siamo al -70% rispetto alle attuali quotazioni internazionali. Mentre gli stoccaggi si riducono pericolosamente, i consumi non ne stanno risentendo. E per una ragione elementare: a fronte di una domanda media mondiale pari a 1 kg di cacao per abitante, l’Europa da sola incide per il 35%. In Germania si sfiorano i 10 kg di cacao consumato all’anno, in Svizzera si arriva a 11 kg.

Praticamente, i paesi ricchi sono i principali consumatori di cacao nel mondo e l’Africa occidentale rifornisce il nostro continente per l’85%.

Possibile guizzo in America Latina

Questo significa anche che piccole variazioni di prezzi del cacao non riescono a colpire la domanda. Ecco spiegata l’asimmetria con l’offerta e la conseguente esplosione di questi ultimi mesi. Certo, non è detto che nel medio-lungo periodo la crisi non porti a un ribilanciamento della produzione tra continenti. L’America Latina raccoglie meno dell’1% dei chicchi mondiali. Sarà ardua per paesi come Ecuador, Brazile e Perù sfruttare più di tanto gli aumenti dei prezzi per aumentare la produzione domestica. Dovrebbero piantare alberi di cacao oggi per ottenere i primi risultati tra cinque anni.

Prezzi del cacao dipendenti dagli agricoltori africani

Nel frattempo, noi consumatori dovremmo ugualmente fronteggiare i rincari. E se il deficit tra domanda e offerta restasse ai livelli attesi per quest’anno, parliamo di qualcosa come l’8%. Una simile percentuale non sarebbe verosimilmente coperta da un’area del mondo che rifornisce meno di un ottavo di quella cifra. La speranza di evitare ulteriori e forti rincari risiede tutta in Africa. Qui, gli agricoltori dovranno sentirsi sufficientemente incentivati per aumentare le colture. Indipendentemente dalla volontà di accrescere la produzione, c’è da considerare che entro un decennio le piantagioni attuali esauriranno i chicchi, essendo arrivate a fine ciclo vitale. E solo prezzi più alti potrebbero far loro cambiare idea.

Prezzi del cacao relativamente bassi hanno consentito a noi consumatori occidentali di godere di questo frutto prelibato in abbondanza e dandone per scontata l’offerta illimitata. Da status symbol, la cioccolata è diventata un ingrediente di massa della nostra cucina. A volte neppure facciamo caso al fatto che si produca all’infuori dei nostri confini. Ma senza un riequilibrio tra domanda e offerta queste certezze potrebbero venire meno nei prossimi anni. Se i raccolti non salgono, dovremo pagare di più per accaparrarceli.

Inevitabile il contraccolpo per un’industria che in Europa valeva 47 miliardi di dollari nel 2022.

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