Azioni Monte Paschi di Siena (MPS) in spolvero a Piazza Affari nel corso delle prime sedute dell’anno. Lunedì, il titolo ha chiuso con un rialzo del 6,5% dopo che la banca senese ha comunicato di avere superato i dubbi sulla “continuità aziendale” citati nelle rendicontazioni precedenti, tra cui quella intermedia al 30 settembre 2022. E ciò sarebbe avvenuto, ha spiegato, grazie all’aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro e alle azioni messe in campo con il piano industriale, tra cui le 4.125 uscite volontarie.

In borsa, MPS vale adesso poco più dell’ultima ricapitalizzazione. E già questo è un mezzo miracolo per un istituto che negli ultimi quindici anni non ha fatto altro che divorare risorse, facendole finire in un buco nero.

Ma le azioni MPS hanno corso anche sulla prospettiva di una privatizzazione, se non imminente, più vicina di quanto non fosse fino a qualche mese fa. Alla conferenza stampa di fine anno, la premier Giorgia Meloni ha parlato della necessità di garantire in Italia l’esistenza di “più poli bancari”. E a proposito di Siena, ha definito “pessimamente” la gestione della vicenda. Da parte di chi? Il capo del governo non ha fatto nomi, ma il riferimento sembrava sia alla dirigenza della banca, sia al Tesoro. E qui a rischiare di saltare è il posto del direttore generale, Alessandro Rivera, nominato dal primo governo Conte. Con lo “spoil system”, l’esecutivo avrà tempo fino al 24 gennaio per rimpiazzare una novantina di alti funzionari tra i ministeri con uomini e donne di propria fiducia.

Leggendo anche un’intervista rilasciata dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, poche settimane fa, si nota come l’idea di un terzo polo bancario sia dominante nella maggioranza. In pratica, il tandem Meloni-Giorgetti vorrebbero far convolare MPS a nozze dopo l’irrobustimento patrimoniale di questi mesi. E lo sposo dovrebbe essere italiano e preferibilmente un istituto di dimensioni minori.

L’identikit porterebbe a Banco BPM, che con 167 miliardi di euro di attivi a fine 2021 risultava essere terzo gruppo bancario in Italia, alle spalle dei giganti Intesa-Sanpaolo e Unicredit.

Privatizzazione MPS, nessuna banca esclusa da trattative

BPM risulta partecipata al 9,18% dalla francese Credit Agricole, con cui ha stretto nei giorni scorsi un accordo per la cessione delle attività assicurative controllate. L’integrazione con MPS darebbe anche respiro internazionale a Siena, sebbene sappiamo quanto non brillanti siano attualmente i rapporti diplomatici tra Roma e Parigi. Ed ecco che diventa possibile anche l’integrazione con BPER, quarto gruppo bancario. Con MPS darebbe vita a una banca legata al territorio del ricco Centro-Nord. Tuttavia, anche per ragioni negoziali il governo Meloni non intende escludere nessuno dalle trattative. Neppure l’Unicredit di Andrea Orcel, che già nel 2021 si alzò dal tavolo a negoziato avanzato.

Alla finestra è rimasta finora Intesa, non interessata al dossier. Anche qui le cose possono cambiare. Con una MPS apparentemente risanata e in procinto di sottoporsi a una ulteriore cura dimagrante, l’appeal è diventato forte. Si specula sulla possibile cessione di 5-800 filiali prima delle nozze. In questo modo, Siena si presenterebbe al pretendente già magra e senza costi ridondanti ai fini dell’integrazione. Molti sportelli al Sud sarebbero ceduti alla Banca del Mezzogiorno. Del resto, l’AD Luigi Lovaglio punta proprio a uno scenario “stand-alone” e alla conservazione della fisionomia territoriale.

La privatizzazione di MPS sarebbe dovuta avvenire entro il 2021, ma la Commissione europea ha concesso una dilazione dei tempi fino al 2024. Non c’è estrema fretta nel trovare un acquirente, anche se i trascorsi invitano a non sprecare un solo giorno. Il Tesoro resta principale azionista con il 64,2% del capitale. Come ha ricordato la premier, per il salvataggio di MPS sono state spese “decine di miliardi” di risorse pubbliche.

Sarebbe già un successo se lo stato riuscisse a uscire dal capitale rientrando almeno nell’ultimo investimento di poche settimane fa. La parola d’ordine del governo è “uscita ordinata”. L’ipotesi del terzo polo è carezzata sia per consolidare la concorrenza sul mercato interno, sia per non legarsi eccessivamente a una delle due grandi banche, come accaduto in passato. Meloni non vuole essere identificata come una premier col cappello in mano dinnanzi a questo o quel banchiere.

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