Le quotazioni dell’oro si stanno attestando da diverse sedute intorno ai 1.700 dollari l’oncia, allontanandosi dai massimi dell’anno, toccati il 18 maggio scorso a 1.764 dollari, il livello più alto dal 2012. Addirittura, venerdì scorso sono arrivate a scendere a un minimo di 1.678 dollari. Nel frattempo, recupera il petrolio, che si è riportato sopra i 40 dollari al barile, ancora circa il 40% sotto i livelli di apertura dell’anno, ma certamente ben sopra gli abissi toccati in aprile, con il WTI crollato sottozero, fino a registrare il minimo storico di quasi -40 dollari.

Cosa significa per i prezzi dell’oro il crollo del petrolio sottozero

Oro giù e petrolio su, insomma. Non è quello che ci aspetteremmo di solito. Siamo portati a credere che i prezzi dei due assets debbano necessariamente marciare nella stessa direzione, eppure non è sempre così e ve ne abbiamo dato conto più e più volte. In generale, quando le quotazioni del greggio salgono in fretta, le aspettative d’inflazione si surriscaldano e spingono il mercato a comprare oro per proteggersi dal rischio inflazione. Viceversa, nel caso opposto. Perché sta avvenendo apparentemente il contrario? E perché, quando fino a poche settimane fa il Brent si schiantava ai record minimi, l’oro s’impennava ai massimi da 7-8 anni?

Il fatto è che l’oro non si compra solo contro i rincari attesi dei prezzi al consumo, ma anche per proteggersi dalle tensioni finanziarie e geopolitiche. Quando i mercati crollano, solitamente si guarda ai lingotti per mettere in salvo almeno parte del capitale. E con l’esplosione dell’emergenza Coronavirus, le borse mondiali sono precipitate in poche sedute, la domanda di greggio è implosa per effetto dei “lockdown” e la paura ha sostenuto i prezzi di tutti i “safe assets”, tra cui dollaro, franco svizzero, yen, bond core (Treasury, Bund, titoli di Svizzera e Giappone) e, appunto, oro.

Oro giù, argento su

Con la riapertura delle economie dopo settimane o mesi di quarantena, il grosso dei timori degli investitori sembra alle spalle e, pur con le difficoltà del caso, la domanda di petrolio sta risalendo, così come gli indici azionari si stanno riportando nelle vicinanze dei livelli pre-pandemici. Per contro, i porti sicuri si sono deprezzati; basti guardare ai rendimenti in ascesa del decennale tedesco dal -0,84% di marzo all’attuale -0,32%, oppure di quello americano, passato nello stesso periodo dallo 0,50% allo 0,80%. La minore paura starebbe allentando gli acquisti di oro, anche perché il graduale ritorno alla normalità presso le principali economie non sta coincidendo con previsioni d’inflazione più alte.

Tutt’altro. E’ vero che il “breakeven” a 5 anni negli USA stimi oggi un aumento medio dei prezzi di quasi l’1% e in forte aumento dallo 0,16% di tre mesi fa, ma prima del Coronavirus si attestava in area 1,65%. Del resto, il petrolio non dovrebbe riportarsi ai livelli di inizio anno prima di diversi mesi da oggi, anche perché i tassi di disoccupazione e il sottoutilizzo della capacità produttiva delle imprese non depongono in suo favore, facendo pendere l’ago della bilancia più verso l’azzeramento dell’inflazione, che non verso la sua accelerazione. Escluso, almeno per il momento, il rischio di deflazione, anche per effetto dei potentissimi stimoli fiscali e monetari varati da un po’ tutti gli stati.

Ma se l’oro si stabilizza, l’argento sale. Nell’ultimo trimestre, ha guadagnato poco meno del 50%, impennandosi dai meno dei 12 dollari di marzo agli attuali 17,64 dollari. Il rapporto tra le quotazioni dei due metalli è sceso dal massimo storico di 124 a meno di 97 oggi, pur sempre sopra la media decennale in area 65. In teoria, vi sarebbero ulteriori margini di crescita, specie considerando che viene impiegato più dell’oro nei processi industriali, come per l’elettronica di consumo.

E man mano che le fabbriche tornano a produrre nel mondo, la domanda di argento sale, sostenendone i prezzi, che restano molto lontani dai record storici toccati nel 2011, quando arrivarono a circa 47 dollari.

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