Pensavamo che la storia non fosse ciclica, ma le similitudini tra gli accadimenti di questi giorni in Medio Oriente e quelli esattamente di cinquanta anni fa appaiono fin troppo evidenti per essere ignorate. Lo stato di Israele è sotto il peggiore attacco della sua storia, ad opera dell’organizzazione terroristica palestinese Hamas. Questa è riuscita a penetrare di terra con i suoi uomini, facendo stragi di civili e prendendo in ostaggio migliaia di persone. I morti da una parte e dall’altra non si contano.

Esattamente come nell’ottobre del 1973, la guerra arabo-israeliana rischia di gettare l’economia mondiale o gran parte di essa nella stagflazione.

Il termine fu coniato proprio in quegli anni per descrivere una situazione economica in cui l’alta inflazione conviveva con bassi tassi di crescita o persino con la recessione. Era impensabile fino ad allora sia sul piano prettamente scolastico che pratico. Governi ed economisti pensavano che l’inflazione fosse un’alternativa alla bassa crescita e che le due cose non potessero convivere. Invece, i paesi arabi punirono l’Occidente per avere sostenuto Israele nella guerra dello Yom Kippur. Imposero l’embargo petrolifero. Il prezzo del petrolio quadruplico a 11 dollari al barile. Improvvisamente, Europa e Nord America si ritrovarono con problemi di crescita e instabilità dei prezzi. Fu per l’appunto la stagflazione.

Iran sponsor di Hamas

Questa volta non vi è in vista alcun embargo. L’Arabia Saudita, che eppure si trova costretta a stracciare l’imminente accordo con Israele per il riallaccio delle relazioni diplomatiche, non sembra intenzionata a sanzionare i sostenitori dello stato ebraico. Ma le ripercussioni sul mercato petrolifero rischiano di essere altrettanto disastrose come mezzo secolo fa. Il principale sponsor del terrorismo palestinese è l’Iran. Lo ha dichiarato apertamente. I suoi due stati-satellite di Libano e Siria si sono subito allineati contro il “nemico” sionista.

L’Iran è tornata sotto embargo degli Stati Uniti dal 2018, quando alla Casa Bianca c’era Donald Trump. Accusata di usare l’arricchimento dell’uranio per scopi militari, le sue esportazioni di petrolio furono bandite per la seconda volta in pochi anni. La prima, ci aveva pensato Barack Obama nel 2012. In realtà, gran parte delle nuove sanzioni sono state e continuano ad essere aggirate da paesi come la Cina, che operano il cosiddetto trasferimento di greggio “ship-to-ship”, cioè in aperto mare, al fine di nasconderne la provenienza.

Rischio di grande crisi petrolifera

Ciò detto, l’amministrazione Biden è sembrata chiudere un occhio su Teheran, ingenerando l’idea in Asia che gli Stati Uniti non avrebbero perseguito con durezza i trasgressori dell’embargo. Ad oggi, Washington è alla ricerca di un nuovo accordo nucleare con la Repubblica degli ayatollah. Adesso, le probabilità che questo venga sottoscritto sono prossime a zero. L’Iran si è mostrato per quello che si sapeva e temeva fosse: uno stato sponsor del terrorismo islamista internazionale. Non solo non ci sarà alcun riavvicinamento tra Washington e Teheran, ma è probabile che l’embargo americano contro le esportazioni iraniane si faccia più duro ed efficace.

Dal mercato rischia di sparire qualche milione di barili di petrolio. Senza mettere in conto che le tensioni nel Golfo Persico minacciano il transito di ben 21 milioni di barili di petrolio al giorno attraverso lo Stretto di Hormuz. Parliamo di un quinto dell’offerta mondiale che rischia di dover trovare vie alternative, con lungaggini di costi e tempi. Tutto questo si tradurrebbe in una lunga fase di stagflazione come si ebbe negli anni Settanta. Ci volle un decennio a quei tempi per superare del tutto la crisi dei prezzi. Solo la maxi-stretta monetaria di Stati Uniti e Regno Unito spense definitivamente l’incendio, con tanto di recessione dura e “guidata”.

Stagflazione, similitudini con anni Settanta

Rispetto ad allora, le banche centrali sembrano aver reagito più tempestivamente e meglio. Ma difficile credere che siano nelle condizioni di restringere ulteriormente le condizioni monetarie, qualora servisse. Il boom dell’inflazione nel 2021 si scatenò come colpo di coda della pandemia da un lato e impennata dei prezzi del gas dall’altro. Anche il petrolio ebbe il suo ruolo, ma limitato nel tempo, a seguito dalla guerra russo-ucraina. Con la guerra tra Israele e parte del Medio Oriente, l’oro nero può correre indipendentemente dalle azioni dell’OPEC. Sarebbe una beffa per le banche centrali, che speravano di avere vinto la loro “guerra” contro l’inflazione. E anche negli anni Settanta andò così. Nel 1979, quando l’economia occidentale iniziava ad uscire dalla crisi petrolifera di sei anni prima, ne scoppia un’altra. C’entrava anche in quel caso l’Iran, con la cacciata dello Shah e la presa del potere da parte dell’ayatollah Khomeini.

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