I dati non sono del tutto nuovi, ma lasciano ugualmente stupiti. Secondo la CGIA di Mestre, al Sud ci sono più pensioni che lavoratori. Prima di addentrarci nella giungla dei numeri, dobbiamo fare una premessa. Quando parliamo di pensioni, non facciamo confusione con il termine “pensionati”. Un pensionato può percepire più pensioni (di vecchiaia, di reversibilità, di invalidità, ecc.). Ed è così, infatti. Nell’intero Stivale, nel 2022 sono state erogate 22 milioni 772 mila pensioni a fronte di poco più di 16 milioni di pensionati.

Il numero degli occupati, invece, è stato di circa 23 milioni 99 mila.

Dati negativi al Sud su pensioni e lavoro

Al Sud, però, le cifre diventano ancora più drammatiche: ci sono state 7 milioni 209 mila pensioni contro 6 milioni 115 mila lavoratori. Questo significa che esistono già oggi 1,18 pensioni per ogni occupato. Uno squilibrio che è frutto di una crisi socio-demografica. Sotto Roma, i giovani fuggono verso il Nord o vanno all’estero per lavorare dopo essersi formati. Ciò lascia i territori con un’alta concentrazione di anziani, ossia anche di pensionati.

Se guardiamo ai dati provinciali, scopriamo che a Milano ci sono stati 342 mila occupati in più rispetto alle pensioni, a Roma +326 mila, a Brescia +107 mila, ecc. Due sole le eccezioni positive al Sud: Cagliari (+10 mila) e Ragusa (+9 mila). Le peggiori sono state Lecce (-97 mila), Napoli (-92 mila) e Messina (-87 mila). Non c’è spazio per l’autocompiacimento al Nord, perché al netto dei lavoratori arrivati dal Sud, i dati rischiano di essere poco positivi anche per esso.

Poche nascite minaccia al welfare

Più in generale, la bassa natalità rappresenta una minaccia nazionale. Man mano che i lavoratori più anziani vanno in pensione, a rimpiazzarli ci sono sempre meno giovani. La popolazione in età lavorativa (15-64 anni) si è ridotta di 755 mila persone in appena cinque anni. Il trend è spaventoso, dato che in ballo c’è il mantenimento dei livelli di benessere.

Più anziani e meno giovani significa più pensioni da pagare con minori contributi. I conti dell’Inps sballerebbero definitivamente. Ma anche servizi pubblici come scuola e sanità sarebbero insostenibili, a causa del minore gettito fiscale.

Lavoro nero e donne

Puntare sulle nascite è una soluzione di lungo periodo, ammesso che le politiche che iniziano ad essere messe in atto funzionino. I primi risultati li vedremo tra 20-25 anni. Nel frattempo, esistono alternative alla semplice importazione di immigrati? Nelle condizioni in cui si trova l’Italia, possiamo rispondere affermativamente. Il nostro è un mercato del lavoro in cui si stimano 3 milioni di lavoratori in nero. Serve far emergere, anzitutto, proprio questi. Si concentrano perlopiù al Sud, dove le minuscole dimensioni aziendali spesso consentono di celare il numero reale dei dipendenti.

Oltre a un’azione repressiva certamente necessaria, servirebbe anche mettere in atto politiche che favoriscano l’emersione del sommerso, puntando a una fiscalità meno onerosa e ad una pressione burocratica meno opprimente. E c’è il capitolo donne. L’occupazione femminile è assai bassa nel nostro Paese, fermandosi intorno al 53% contro il 70% tra gli uomini. Figuriamo agli ultimi posti della classifica europea. Sostenere le donne al lavoro implica il potenziamento dei servizi legati all’infanzia (asili nido, in primis) e migliorare l’istruzione.

Pochi laureati

La scuola è un altro punto debole dell’Italia. Abbiamo tra le più basse percentuali di laureati in Europa e, come hanno svelato i dati sul reddito di cittadinanza, un numero elevato di persone con grado di istruzione molto basso. Anche in questo caso, il Sud guida la classifica. Ciò non consente lo sviluppo di determinate attività che richiedono lavoro qualificato, generalmente meglio retribuito e capace di reggere alla concorrenza internazionale. Questo “vulnus” contribuisce significativamente a spiegare perché l’economia italiana sia rimasta al palo negli ultimi decenni con la globalizzazione.

Limiti a pensioni senza alternative

Infine, il numero delle pensioni si può contenere in futuro solo limitando le uscite dal lavoro, vale a dire allungando l’età pensionabile e/o riducendo le scappatoie per andare in quiescenza prima. E’ quanto si è fatto in questi anni e si è continuato a fare anche con la Legge di Bilancio 2024. Per quanto il tasso di occupazione sia salito al record storico del 61,7%, resta basso. Fintantoché non tende alla media europea nei pressi del 70%, di pensioni sentiremo parlare solo in termini di criteri restrittivi. Alternative facili o popolari non ne esistono.

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