E’ sceso sotto gli 85 dollari al barile il prezzo del petrolio questa settimana. Solamente lo scorso 27 settembre si aggirava in area 97,50 dollari. Il Brent ha perso in poche sedute il 15%, un tonfo inatteso e veloce. E dire che l’OPEC Plus, il cartello a guida saudita che collabora con una decina di produttori esterni tra cui la Russia, ha fatto di tutto negli ultimi mesi per tenere alte le quotazioni. Gli annunci sui tagli all’offerta si sono succeduti l’uno dietro l’altro e riguarderanno i livelli di produzione almeno fino a tutto dicembre.

Il mercato si attende, però, che saranno estesi all’anno prossimo.

Scontro Asia-Occidente come 50 anni fa

Dietro al boom del petrolio fino a ridosso dei 100 dollari si cela una “guerra” tra Asia e Occidente. Esattamente come mezzo secolo fa, le potenze anti-occidentali vogliono punire Nord America ed Europa per il loro sostegno all’Ucraina contro l’occupazione russa. Inoltre, cercano di far capire chi comanda. Se l’Occidente detiene i capitali che usa come un’arma attraverso le sanzioni, lo stesso stanno facendo i paesi in possesso delle materie prime.

In sostanza, sul petrolio (e non solo) si sta giocando una partita che riguarda il nuovo ordine mondiale. Ma di preciso cosa ha provocato il crollo delle quotazioni? E siamo davvero fuori pericolo? Sono i timori sulla domanda ad avere scatenato le vendite. In piena estate, il petrolio si collocava tra 70 e 80 dollari. Erano livelli con ogni probabilità bassi rispetto alle reali condizioni del mercato globale. Si è scatenata una corsa agli acquisti dal sapore speculativo, che ha spinto i prezzi fino a poco meno di 100 dollari.

Debole congiuntura mondiale tra tassi e inflazione

Adesso, però, il caro petrolio sembra insostenibile. Le banche centrali hanno dovuto aumentare i tassi di interesse per battere l’inflazione. Ci sono riuscite in parte, servirà ancora lavorarci sopra.

Probabile che debbano tenere il costo del denaro ai livelli attuali per un po’ di mesi. Tutto ciò sta indebolendo la congiuntura globale. Le principali economie viaggiano tra la stagnazione e la recessione. Naturale che il mercato del petrolio debba tenere in considerazione.

Il crollo del petrolio sui mercati internazionali ha una doppia valenza positiva. In primis, perché abbassa la tensione sui prezzi al consumo. Più basse le quotazioni, minore il costo del carburante alla pompa e, in generale, dell’energia per produrre e trasportare merci. Secondariamente, segnala che l’economia mondiale sia sottotono e, quindi, potrebbe annunciare la fine della stretta monetaria sui tassi.

Petrolio giù, ma rischi restano

Ma c’è poco spazio per autocompiacersi. Anzitutto, pur in forte calo, il petrolio resta caro. Non solo 85 dollari sono un livello nettamente superiore alla media decennale di neppure 70 dollari al barile per il Brent. Dobbiamo tenere in considerazione anche il fatto che il dollaro sia ancora forte. Il cambio euro-dollaro è arrivato a scendere fin sotto 1,05. Agli inizi del 2021, si collocava ben sopra 1,20.

E c’è un altro dato ad invitare alla prudenza. Le Riserve Strategiche di Petrolio negli Stati Uniti sono scese ai minimi da 40 anni e basterebbero per appena 17 giorni di consumi domestici. Rispetto al 2020, risultano crollate di circa 310 milioni di barili al luglio scorso. Significa che negli ultimi tempi il governo americano ha cercato di calmierare i prezzi vendendo greggio sul mercato. Un’operazione che non potrà procrastinarsi più di tanto, dati i bassi livelli a cui sono scese le riserve.

Riserve Strategiche di Petrolio

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