In attesa di capire come andrà il terzo collocamento del BTp Valore, lo spread si muove sotto i 150 punti base e ai minimi da circa due anni. Una condizione di relativa serenità sul mercato dei titoli del debito pubblico italiano. Non era scontata, dato il clima di incertezza sui tempi del taglio dei tassi di interesse. La Federal Reserve potrebbe rinviarlo di qualche mese sui buoni dati dell’economia americana e la Banca Centrale Europea (BCE) non vuole giocare di anticipo.

Ma la buona notizia è che non sarebbero soltanto le famiglie a caccia di rendimento in questa fase a buttarsi sui BTp. Pare che l’umore sia già cambiato tra le banche italiane.

Boom di profitti grazie al margine sui tassi

Sappiamo che gli istituti di credito tricolori hanno messo a segno profitti record nel 2023, i quali nel complesso dovrebbero avere superato i 45 miliardi di euro. Il boom è arrivato grazie alla lievitazione del margine di interesse. I tassi sono saliti più velocemente su prestiti e mutui rispetto a quelli offerti dalle stesse banche italiane sui conti deposito dei clienti. Il risultato ha consistito in un aumento dei ricavi maggiore dei costi, per l’appunto in un margine di interesse più alto e maggiori profitti nel prestare denaro.

Le banche italiane tornano sui titoli del debito pubblico

A fine dicembre, le banche italiane detenevano titoli del debito pubblico per complessivi 357,3 miliardi. Su base annua, un calo di 15,5 miliardi. E rispetto a due anni prima, quando ne possedevano per 391 miliardi tondi, siamo a -42,7 miliardi. In termini percentuali, la quota sullo stock passivo totale dello stato è scesa dal 14,6% del dicembre 2021 al 13,5% di fine 2023. E’ comprensibile quanto accaduto: i tassi di mercato sono risaliti inaspettatamente per entità e tempi e il valore dei bond è crollato. Le banche italiane hanno preferito vendere o non rinnovare del tutto i titoli del debito pubblico in scadenza, anche perché non hanno avuto bisogno di dipendervi per fare utili.

Ma a dicembre i BTp in portafoglio risultavano di quasi 3 miliardi di euro in più rispetto al mese di ottobre, quando i tassi avevano toccato l’apice. Si tratterebbe di un piccolo segnale che va nella direzione di prospettare un ritorno all’acquisto di titoli del debito pubblico. E il calo dello spread di queste settimane lo testimonierebbe. Da ottobre, in effetti, i prezzi obbligazionari sono tornati a salire e i rendimenti a scendere. Anche solo sul piano speculativo è diventato conveniente entrare sul mercato, specie sul tratto lungo della curva, per cercare di guadagnare dall’apprezzamento atteso con il taglio dei tassi.

Possibile ulteriore calo dello spread

Nel frattempo, prestare denaro non conviene più quanto prima. A gennaio lo spread tra tassi attivi e passivi per le banche italiane è sceso dal 2,08% all’1,51% sulle nuove erogazioni. Un tracollo nel giro di appena un mese. La raccolta è diventata più cara, mentre i tassi sui mutui sono precipitati dal 4,42% al 3,99%. Adesso, inizia a valere il ragionamento opposto a quello degli ultimi due anni: meglio buttarsi sui titoli del debito pubblico, che non solo offrono rendimenti alla scadenza di tutto rispetto (sopra il 4% sul tratto lungo), ma anche prospettive di prezzo assai interessanti.

Il buon esito del BTp Valore 2030 fungerebbe da ulteriore attrazione per banche italiane e investitori stranieri. Sarebbe l’ennesima conferma della solidità della domanda in una fase problematica, caratterizzata da emissioni elevatissime e tassi ancora cospicui. A quel punto, si potrebbe immaginare un’ulteriore discesa dello spread. Per quanto basso sia rispetto ai picchi dei mesi passati, margini per ulteriori ribassi ve ne sono. Pensate che i rendimenti decennali in Grecia viaggiano a circa mezzo punto percentuale sotto i livelli italiani.

A parità di rendimenti tedeschi, ci sarebbe ancora modo per i BTp di apprezzarsi. E questo le banche italiane lo sanno.

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