Il vice-premier Matteo Salvini sostiene che le misure in cantiere sulle pensioni servano a “smantellare quella schifezza della legge Fornero“. L’esperto di previdenza e autore di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, parla di “peggioramento della legge Fornero”. Molti quotidiano scrivono che i requisiti di accesso per lasciare il lavoro siano stati inaspriti persino rispetto alla riforma voluta nel 2011 dall’appena insediato governo Monti. Chi ha ragione? Di sicuro emerge una filosofia nelle novità contenute nella Legge di Bilancio 2024. Essa è impostata sul disincentivo a lasciare il lavoro prima dell’età pensionabile ufficiale.

E riguarda sostanzialmente tutte le categorie, dai contributivi puri ai misti, passando per i retributivi. Un esempio ce lo offre la pensione anticipata.

Questo istituto fu introdotto proprio dalla legge Fornero nel tentativo di offrire ai lavoratori una strada alternativa e presumibilmente unica per lasciare il lavoro prima dell’età pensionabile ufficiale. Ad oggi, questa resta a 67 anni per uomini e donne. L’alternativa sarebbe di maturare 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Indipendentemente dall’età, se si possiede questo requisito si può andare in quiescenza.

Adeguamento all’aspettativa di vita

Dal 2025, però, sarà un po’ più complicato accedere alla pensione anticipata. La mini-riforma in corso d’opera sul punto prevede, infatti, di applicare anche a questo istituto l’adeguamento all’aspettativa di vita. Si tratta di una norma esistente quasi soltanto in Italia e che sposta in avanti l’età pensionabile in base alla longevità media rilevata dall’Istat con cadenza triennale. Fino a tutto il 2026 non dovrebbero esserci novità per espressa previsione dell’allora governo “giallo-verde”. Tuttavia, il governo Meloni ha compiuto due operazioni sul punto: in primis, ha esteso anche alla pensione anticipata una previsione che riguardava finora solo la pensione di vecchiaia; secondariamente, ha anticipato di due anni al 2025 l’adeguamento.

E’ probabile che, contrariamente a quanto accaduto in pandemia, l’aspettativa di vita media rilevata dall’Istat risulti in crescita l’anno prossimo. E per fortuna, perché significa che la salute degli italiani migliora. Solo che ciò prolungherebbe di qualche mese i tempi di accesso alla pensione anticipata. Potrebbero arrivare a servire più di 43 anni di anzianità per gli uomini e 42 per le donne. E questo rischia di creare un paradosso a sfavore di chi ha maturato molti anni di servizio e vorrebbe godersi la pensione. In effetti, con la pensione di vecchiaia bastano 67 anni di età e 20 anni di contributi. In sostanza, chi ha lavorato poco o ha versato pochi contributi, lavorando in nero per diversi anni della propria vita, potrebbe dover attendere solo qualche anno in più per andare in quiescenza.

Pensione anticipata, pro e contro

A conti fatti, però, la pensione anticipata resta un grosso beneficio per molti di coloro che iniziarono a lavorare tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Immaginate un uomo che abbia iniziato a lavorare a 18 anni e ha avuto una carriera senza interruzioni. Gli dovrebbero bastare 61 anni per avere la pensione. L’anticipo sarebbe in questo caso di sei anni sull’età ufficiale attuale. Più verosimile, comunque, che l’età anagrafica effettiva sia più alta, sebbene in passato fosse più usuale di oggi entrare nel mondo del lavoro da ragazzini e proseguire senza inciampi per tutta la vita, magari senza mai cambiare azienda.

Lasciare il lavoro “troppo presto” non aiuta a percepire un buon assegno, in ogni caso. Per la quota maturata con il metodo retributivo, infatti, si applicano i coefficienti di trasformazione. Sono numeretti che trasformano il montante contributivo in rendita mensile. Essi dipendono dall’età a cui si va in pensione, secondo la seguente logica: prima esci dal lavoro, meno prendi.

Il calcolo si basa facendo riferimento alla suddetta aspettativa media di vita rilevata dall’Istat. Tanto per farvi un esempio, a 61 anni di età e con un montante di 300.000 euro si prenderebbe un assegno di circa 1.095 euro per tredici mensilità. A 67 anni, salirebbe a 1.320 euro. C’è una differenza del 20,5%.

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