La Commissione europea manda in soffitto le vecchie regole fiscali. Oggi, ha presentato la sua bozza di riforma del Patto di stabilità con l’intento di semplificare il processo decisionale e renderlo più trasparente ed efficace. Scompare il riferimento al taglio del debito pubblico di un ventesimo all’anno per la quota superiore al 60% del PIL. Era entrata in vigore nel 2012 con il Fiscal Compact, ma non era stata ancora mai applicata.

I contenuti della riforma

Invece, il riferimento al 60% resterebbe, ma sarebbe più formale che sostanziale.

Con gli stati comunitari alle prese con debito eccessivo la Commissione negozierebbe piani di rientro da attuarsi nell’arco di quattro anni. Su richiesta del governo, il periodo potrà essere esteso a sette anni nel caso siano attuati investimenti e riforme strutturali.

Attenzione, in quattro o sette anni non dovrà scendere il debito sotto la soglia del 60%. Sarebbe praticamente impossibile per chiunque. Semmai, il paese dovrà dimostrare entro quel periodo di avere messo i conti pubblici su una traiettoria solida, ovvero di discesa stabile del rapporto tra debito e PIL.

Freddo Giorgetti

A tale fine, il monitoraggio avverrà riguardo alla spesa primaria netta, cioè senza tenere conto della spesa per gli interessi. Invece, scompaiono concetti come il saldo strutturale e la procedura per deviazione significativa. Avete presente quando in questi anni abbiamo qualche volta sentito parlare dell’espressione assurda “output gap”? Essa si prestava a calcoli non univoci e, soprattutto, non aveva un reale fondamento economico. Esprimeva nella sostanza la distanza tra il PIL reale e il PIL potenziale di uno stato. Quest’ultimo era calcolato supponendo il pieno impiego dei fattori produttivi.

Infine, l’apparato sanzionatorio resta per deficit eccessivo e per deviazione dal percorso di riduzione del debito. Nel primo caso, il disavanzo fiscale da non superare resta del 3% rispetto al PIL.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, intervenendo stamattina in sede di presentazione dei punti salienti della legge di Bilancio, si è mostrato “freddo” sulla riforma del Patto di stabilità avanzata dalla Commissione. Ha dichiarato che essa troverà certamente oppositori, sostenendo che al Sud Europa sembrerà ossessiva riguardo ai conti pubblici e al Nord Europa “lasca”.

Elementi positivi del nuovo Patto di stabilità

Sta di fatto che la riforma punta ad entrare in vigore nel 2024. Essa è impostata su semplificazione e maggiore capacità di fare rispettare le regole. A Bruxelles non è un mistero che l’opacità di regole scarsamente comprensibili non era piaciuta negli anni passati.

Il Patto di stabilità si è prestato spessissimo ad estrema politicizzazione ed è finito per rendere poco credibili le regole fiscali comuni. Nel 2018, ad esempio, tra Roma e Bruxelles vi fu un durissimo braccio di ferro per innalzare il deficit dall’1,6% preteso dai commissari al 2,4% richiesto dal governo giallo-verde. Si arrivò a un compromesso del 2,04%. Un anno più tardi, al governo giallo-rosso il deficit-limite fu innalzato al 2,4%. Nel frattempo la Francia sforava tutti i parametri senza alcun richiamo formale della Commissione.

Regole chiare e trasparenti non possono che giovare anche all’Italia, lo stato più bistrattato d’Europa sul piano politico. E la riforma del Patto di stabilità non sembra ridurre i margini di flessibilità, semmai riduce la discrezionalità dei commissari. I piani di rientro per i conti pubblici sono negoziati bilateralmente e questo consente al governo dello stato nazionale di dire la sua per cercare di spuntare condizioni credibili e sostenibili. Le sanzioni restano e saranno, almeno nell’intento dei commissari, più automatiche. Ma la vera sanzione per chi trasgredisce arriverebbe dai mercati e l’Italia la subisce da anni.

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