Il T-bond a 10 anni degli Stati Uniti è salito a un rendimento del 4,50%, ai massimi da sedici anni. Il suo omologo tedesco – Bund – offre ormai il 2,80%, mai così alto sin dal 2011. I rendimenti obbligazionari globali stanno riportandosi ai livelli precedenti alla lunga era dei tassi a zero e negativi. In teoria, una brutta notizia per l’oro. Il safe asset per eccellenza non stacca cedola e risente negativamente dell’aumento dei rendimenti. Tra l’altro, il dollaro non vuole saperne di indebolirsi e anche questo aspetto concorrerebbe a deprimere le quotazioni del metallo.

Invece, pur ben sotto i massimi storici toccati nel marzo scorso a 2.050 dollari l’oncia, l’oro continua a restare caro. Si acquista sui mercati internazionali a 1.910 dollari. In euro, siamo a 1.800 contro un record storico di 1.875. Un apparente controsenso. L’oro è considerato l'”anti-dollaro”. Gli investitori lo comprano per tutelarsi dalla perdita del potere di acquisto. Quando la Federal Reserve allenta la politica monetaria e “stampa” troppi dollari, il metallo diventa un rifugio confortevole per i capitali.

Caccia ai lingotti tra banche centrali

Sembra, quindi, che la correlazione inversa tra dollaro e oro stia venendo meno. Siamo sicuri? Il fatto è che la geopolitica sta mutando in fretta. Negli ultimissimi anni si registrano acquisti record di oro da parte delle banche centrali, specie in Asia. Dalla Turchia alla Cina, passando per Russia e India, solo per citare le principali, da tempo è corsa ai lingotti per cercare di allentare la dipendenza dal biglietto verde. E le statistiche non dicono tutta la verità. Ad esempio, la Banca Popolare Cinese dichiara 2.113,46 tonnellate, sebbene qualche analista azzardi che ne possegga già sulle 5.000.

La domanda di oro resta sostenuta per via degli acquisti istituzionali. Questi stanno infrangendo le regole del mercato. Alle banche centrali non importa se i rendimenti obbligazionari salgono o il dollaro sia forte.

Esse mirano proprio a rendersi più autonome dalla finanza occidentale. Maggiori riserve di oro fungono da garanzia per le rispettive valute, ma siamo ancora molto lontani dal trovare un’alternativa al dollaro in qualità di valuta di riserva mondiale. La Cina vi aspira per il suo yuan, eppure non esiste domanda sufficiente all’infuori dei confini nazionali.

Oro splende su tensioni geopolitiche

La corsa all’oro esprime in questa fase il grado di resistenza al dollaro da parte dei Brics. Dobbiamo aggiungere anche le tensioni geopolitiche. La guerra tra Russia e Ucraina e gli scontri commerciali e politici tra Stati Uniti e Cina raccontano di un mondo in cerca di nuovi equilibri e al momento instabile. Infine, la politica fiscale lassista di Washington crea allarme tra gli investitori. I deficit sono diventati voragini e di questo passo il debito americano sembra diretto verso percentuali insostenibili. Dinnanzi a questi scenari poco rassicuranti, il metallo è una garanzia storica inossidabile per i capitali e ciò ne accresce l’appeal, che vi siano rendimenti alti e dollaro forte o meno.

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