Le voci sulla morte del dollaro Usa come valuta di riserva mondiale sono fortemente esagerate. Lo diciamo come premessa per evitare di fornire suggestioni errate sin dall’inizio. Al quarto trimestre dello scorso anno, il 58,41% delle riserve valutarie nel mondo erano denominate proprio in dollari degli States, seguito a lunghissima distanza dal 19,98% dell’euro. Lo yuan cinese si fermava al 2,29%, altro che scalata ai danni del biglietto verde. E per la Banca dei regolamenti internazionali, il 90% delle transazioni in valuta straniera avveniva lo scorso anno ancora in dollari, in cui risultava denominato anche il 70% del debito estero mondiale.

Ciò detto, i record dell’oro ormai quotidiani dovrebbero iniziare a porre qualche domanda a Washington.

Oro da record grazie alle banche centrali

Il metallo giallo ieri ha sfiorato i 2.370 dollari l’oncia, in rialzo di circa il 23% nell’ultimo anno e di quasi il 14% da inizio 2024. Una corsa inattesa per durata e dimensioni. E c’è una certezza in questi movimenti: a comprare sono le banche centrali, anche se non solo. La sola Banca Popolare Cinese risulta avere acquistato 310 tonnellate dall’inizio della guerra. Ne disporrebbe 2.257 tonnellate, ma c’è che chi scommette che il dato reale sia significativamente più elevato. Pechino è solita svelarne le dimensioni con un certo ritardo. Probabile che sia già sopra 5.000 tonnellate e che sveli le detenzioni effettive solo quando avranno superato quelle della Federal Reserve, prime al mondo con 8.134 tonnellate.

Perché questa corsa da record per l’oro? Sembra che la guerra tra Russia e Ucraina abbia accelerato una tendenza di fondo che si registrava da alcuni anni. Subito dopo l’invasione da parte di Mosca l’Occidente sequestrò quasi la metà delle sue riserve valutarie investite nei suoi territori. Qualcosa come circa 300 miliardi di dollari sparirono dalla disponibilità della Banca di Russia. Un colpo durissimo per il Cremlino, ma alla lunga gli esiti rischiano di essere persino più devastanti per Europa e Nord America.

Se gli investimenti di natura finanziaria non sono più sicuri in quest’area del mondo, perché mai governi potenzialmente ostili dovrebbero esportare da noi i loro capitali?

Monete fiat manipolabili e soggette all’inflazione

A questo punto, meglio diversificare gli investimenti. Come? Puntando su quello che forse è l’unico asset non manipolabile e il cui valore è riconosciuto dappertutto e in ogni tempo: l’oro. La sua offerta è limitata, contrariamente alle monete fiat che le banche centrali spesso stampano senza alcun ritegno. La Cina, in particolare, vuole prendere due piccioni con una fava: rifuggendo dal dollaro, vuole sia punire gli Stati Uniti, sia accrescere la quantità dell’asset con cui in futuro garantirebbe per il suo yuan. Un ruolo di valuta internazionale, va detto, che a quest’ultimo sinora nessuno nel mondo è disposto a riconoscergli.

Sembra perfettamente razionale puntare sull’oro da record, anziché farsi entusiasmare dalle banconote. Solamente negli ultimi venti anni, l’inflazione cumulata negli Stati Uniti è stata superiore al 64%, nell’Eurozona del 54%, nel Regno Unito di oltre il 92% e in Giappone del 13%. Questo significa che: 100 dollari del 2004 hanno oggi un potere di acquisto pari a 58,54 dollari, 100 euro di 63,56, 100 sterline di 50,47 e 100 yen di 90,15. In altre parole, detenere monete fiat nel tempo fa perdere potere di acquisto. Nello stesso arco di tempo, il prezzo dell’oro è esploso del 485%, cioè è quasi sestuplicato. In termini annui, un rialzo medio sopra il 9%.

Fuga in Asia dai T-bond

E come si combacia quanto abbiamo detto con i numeri sull’uso ancora diffuso e preminente del dollaro nelle transazioni finanziarie e commerciali? Le banche centrali, così come gli attori privati, non vogliono affatto ridurre le quantità di oro da detenere per le importazioni di beni e servizi.

Tutti sono consapevoli che, ad oggi, il biglietto verde non abbia alcuna alternativa concreta. La sostituzione con l’oro, specie in Asia, sta riguardando gli investimenti. La Cina, ad esempio, possedeva nel gennaio scorso 797,70 miliardi di dollari in T-bond, titoli di stato americani. Erano ancora a 1.028,70 miliardi nel febbraio del 2022, mese di inizio della guerra russo-ucraina. Il record risale, tuttavia, al novembre del 2013 con 1.316,70 miliardi.

In pratica, gli Stati Uniti emettono T-bond come non vi fosse un domani per finanziare le loro voragini di bilancio, ma la Cina ne acquista sempre meno, riducendo le sue esposizioni verso zio Sam. La sua quota sulle emissioni totali sono già crollate al 3%. Era al 3,5% un anno prima. Nei forzieri cinesi ci sono più lingotti e meno dollari. Un rimpiazzo che nell’immediato ha il suo costo. Malgrado i record, l’oro resta un asset infruttifero finché non venga rivenduto. Non stacca alcuna cedola a chi lo possiede. E le banche centrali lo acquistano proprio per tenerlo nei caveau a lungo, se non per sempre. I tanto vituperati T-bond, invece, in questa fase offrono più del 5% per le scadenze più brevi.

Record oro stupisce con rendimenti in ripresa

Ecco la ragione per la quale i prezzi dell’oro vanno in direzione opposta rispetto ai rendimenti sovrani. Ma sta accadendo, in realtà, che dopo un calo vistoso dei secondi nei mesi passati, il mercato sia tornato a pretendere livelli nominali (e reali) più alti, scontando un taglio dei tassi di interesse meno drastico per il breve periodo. Ciononostante, l’oro non cessa di macinare record. E’ proprio questo che sta facendo scalpore, il segno che le dinamiche macro consuete spieghino solo parzialmente il trend. La geopolitica sembra in grado di dirci qualcosa di più. E la corsa all’oro sta assumendo i tratti di un attacco al dollaro. Questo può limitare le future azioni della Fed.

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