E’ stato un passo falso, che qualcuno pagherà verosimilmente caro nelle prossime settimane, dopo le elezioni europee. E quel qualcuno potrebbe essere il vice-ministro dell’Economia, Maurizio Leo, la cui firma è stata apposta in calce al decreto attuativo per l’attivazione del nuovo redditometro. Se il responsabile del suo dicastero, Giancarlo Giorgetti, andasse a fare il commissario europeo, si specula da tempo che il suo posto a Via XX Settembre a Roma sarebbe ricoperto proprio da Leo. Dopo quanto accaduto questa settimana, di certezze non ve ne sarebbero più.

Nuovo redditometro, stop da Meloni

Siamo a martedì, giorno in cui si scopre per l’appunto che il governo Meloni ha provveduto a introdurre un nuovo redditometro al posto di quello seppellito nel 2018 dall’allora primo governo Conte. Nella maggioranza di centro-destra dilagano stupore e sconcerto. Nessuno ne sapeva niente. Subito arrivano critiche da Forza Italia (“noi da sempre contrari” dirà Antonio Tajani) e subito dopo dalla Lega. Immediata la precisazione del vice-ministro, secondo cui si tratterebbe semplicemente di emanare un decreto attuativo a garanzia dei contribuenti contro i poteri illimitati dell’amministrazione finanziaria in fase di accertamento sintetico.

In politica, la forma è sostanza. E risulta inutile tentare di calmare gli animi dopo che tutta Italia ha appreso che ci sarà il nuovo redditometro. Se la misura si rivela impopolare a destra, ancora più paura serpeggia al governo a ridosso delle elezioni europee. Ed ecco che è costretta a metterci una toppa la premier Giorgia Meloni con un messaggio sui social. Niente mani in tasca ai comuni cittadini. Si tratterebbe, ha spiegato, di stanare coloro che si dichiarino nullatenenti e che girano con il suv o magari hanno pure la barca. Poi, l’annuncio: decreto sospeso.

Legami con concordato preventivo biennale

Difficile credere che Leo abbia sottovalutato la portata del provvedimento.

E viene da chiedersi cosa ci sia stato realmente dietro. La mente corre a un’altra misura del governo, varata qualche mese fa e di segno opposto: il concordato preventivo biennale. Fuori dai dettagli, si tratta di un’offerta rivolta dal Fisco ai lavoratori autonomi: “signor Rossi, a nostro avviso dovrebbe dichiarare un reddito minimo pari a tot per due anni. Se Le va bene, ci invii l’ok entro il 15 ottobre. Se no, sappia che le sue dichiarazioni saranno soggette a controlli”. Insomma, un accordo tra gentiluomini.

Da questo provvedimento il governo si attende entrate non insignificanti da mettere a bilancio per l’anno prossimo. E considerate che di risorse ne serviranno tante, tra taglio del cuneo fiscale e delle aliquote Irpef da confermare e possibilmente ampliare, oltre alla riduzione del deficit da accelerare con il nuovo Patto di stabilità. Ma cosa c’entra tutto questo con il nuovo redditometro abortito al primo giorno di gravidanza? Diciamo che è o sarebbe servito come monito alle categorie raggiunte dal concordato preventivo: “state attenti a negare il vostro assenso alle richieste del Fisco, altrimenti vi sorbirete controlli invasivi”.

Strumento di ricatto

In pratica, il nuovo redditometro è stata un’arma di ricatto. A voler essere sinceri, anche se non sembra che entrerà presto in vigore o forse mai, la sola discussione di questi giorni ha impressionato l’opinione pubblica. Mai si sarebbe aspettata una simile misura da un governo di centro-destra. Nella lotta politica, la maggioranza è accusata di essere tenera con gli evasori fiscali. C’è stato un ribaltamento dei ruoli per ventiquattro ore. Quanto basta a far capire al folto mondo dei lavoratori autonomi che non hanno dall’altra parte della scrivania l’amico bonario a cui raccontare frottole con dichiarazioni mendaci. Vedremo a consuntivo, cioè ad ottobre, se il segnale sia stato recepito con adesioni importanti.

Tuttavia, il nuovo redditometro ha i difetti congeniti del vecchio. Mettiamola come vogliamo, sta di fatto che consiste in una sorta di resa dello stato. Avete capite bene. Anche se il Fisco fa la faccia feroce, nei fatti con questo strumento alza bandiera bianca e ammette di non essere in grado di trovare gli evasori. E poiché non riesce a farlo, è costretto ad usare formule patetiche per ricostruire automaticamente i redditi dei contribuenti. Altra cosa sarebbe, in effetti, introdurre il nuovo redditometro solo per stringere il cerchio e poi effettuare accertamenti sulle dichiarazioni teoricamente meno credibili.

Nuovo redditometro foglia di fico della politica

Non serve alcun nuovo redditometro per capire che alcuni contribuenti prendano per il naso tutti. Senza voler indagare su spese e investimenti, basterebbe farsi un giro tra i cantieri o salire su un taxi per scoprire in pochi secondi chi e quanto evade. Non lo si fa per carenza di risorse umane, che è spesso lo specchio di carente volontà politica. Perché a tutti va bene così. Il redditometro vecchio e nuovo piace a politici e funzionari, in quanto neutrale. Non è lo stato che decide di controllare, ma l’algoritmo che segnala discrepanze tra dichiarato e stile di vita. Tutti se ne possono lavare le mani. “Amico mio, fosse stato per me, avresti potuto continuare a non pagare le tasse. Ma con ste cavolo di formule sei stato scoperto”.

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