Già a luglio era stata violata la parità per la prima volta in venti anni. In queste ultime sedute, il cambio euro-dollaro è sceso stabilmente sotto il rapporto di 1:1. Un fatto che aggrava il quadro macroeconomico per l’Eurozona. Un cambio debole accentua l’inflazione, aumentando i costi dei beni importati, molti dei quali stanno rincarando di loro. Basti pensare al gas, così come al petrolio e altre materie prime. La debolezza del cambio dipende dalle aspettative negative del mercato nei riguardi dell’economia nell’area e, di riflesso, sui tassi d’interesse della BCE.

Al contrario, negli USA la Federal Reserve è percepita nelle condizioni di poter proseguire con la stretta monetaria. Tuttavia, in queste settimane staremmo assistendo ai prodromi di una seconda crisi dell’euro, potenzialmente fatale.

La prima risale all’infausto biennio 2011-’12. Divampava la crisi dei debiti sovrani, la BCE alzò i tassi e il mercato iniziò a vendere i titoli di stato del Sud Europa. I rendimenti e gli spread esplosero. Nell’estate del 2012, dovette intervenire il governatore Mario Draghi per spegnere l’incendio con il celeberrimo “whatever it takes”. Funzionò. Senza voler discutere le doti straordinarie di “Super Mario”, i mercati arrestarono la speculazione contro l’euro per il semplice fatto di avervi scorto in sua difesa la Germania.

Economia Germania in panne

Stavolta, la crisi dell’euro rischia di arrivare proprio da Berlino. L’economia tedesca è in panne, travolta dalla crisi energetica e da un’inflazione che non si vedeva a queste latitudini da oltre quaranta anni. Servirebbe che la BCE alzasse i tassi per combattere l’inflazione da un lato e difendere informalmente il tasso di cambio. Invece, niente. Francoforte è paralizzata dalla paura di sbagliare. Se alzasse i tassi più del dovuto, stenderebbe a tappeto le economie dell’Eurozona. Se li alzasse troppo lentamente, farebbe esplodere l’inflazione.

I tedeschi sono allergici all’instabilità dei prezzi. Hanno vissuto sulla loro pelle il dramma dell’iperinflazione esattamente quasi un secolo fa, tra il 1923 e il 1924 sotto la Repubblica di Weimar. Hanno imparato la lezione: stampare moneta non risolve i problemi, semmai ne crea altri. Fosse per loro, la BCE alzerebbe i tassi e sosterrebbe il cambio. Quando (loro malgrado) diedero vita all’euro, lo fecero avendo ben chiari i connotati che avrebbe dovuto possedere: stabilità e forza. Insomma, un marco di nuovo conio. La valuta tedesca era stata in grado di superare brillantemente il lungo decennio di disordine monetario ed economico seguito alle crisi petrolifere degli anni Settanta. Ne uscì vincitore anche contro il dollaro, a differenza di quasi qualsiasi altra valuta dell’orbita occidentale. Adesso, paradossalmente l’euro minaccia quella stabilità promessa con la sua nascita.

Crisi dell’euro con i dubbi tedeschi

La Germania non accetterà a lungo tale china. La perdita costante di valore della moneta ha già acceso i fari della Bundesbank. Questo collasso sta devastando anche la bilancia commerciale tedesca, dato il boom del valore delle importazioni a seguito anche dell’euro debole. Finora Berlino è stata ferma nel difendere la moneta unica dalle numerose minacce che incombono da oltre un decennio su di essa. Ma a queste condizioni, prima o poi potrebbe decidere che il gioco non valga la candela. Un solo tentennamento dei tedeschi finirebbe per fare esplodere una seconda crisi dell’euro. I mercati fiuterebbero la perdita di credibilità di un asset non più sostenuto graniticamente dal principale azionista, che è anche il più solido.

Ci sarebbero conseguenze catastrofiche anche sulla BCE. I tassi a zero o negativi sono stati possibili grazie alla credibilità della moneta unica nel panorama internazionale. Se questa venisse meno, Francoforte perderebbe tale privilegio, che pur non essendo “esorbitante” come quello goduto dalla Federal Reserve, ha consentito in tutti questi anni all’Eurozona di ignorare le leggi dell’economia.

Ricordate il famoso piano B propinato dai consiglieri economici dell’ex cancelliera Angela Merkel? Consisteva nel far saltare il banco e uscire dall’euro, magari incassando gli enormi attivi vantati con il sistema dei pagamenti Target 2. A luglio, facevano 1.166 miliardi. Una cifra che inizierebbe a fare gola ai tedeschi, se l’alternativa resta l’euro debole e l’inflazione verso le due cifre.

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