Potrebbe essere un Natale triste per gli italiani, che per la prima volta dopo 123 anni rischiano di non mangiare più il famoso Pandoro Melegatti, l’originale, quello che profuma di tradizione per l’industria dolciaria. I dipendenti hanno scioperato fuori dai cancelli dello storico stabilimento di San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona. Pacificamente, ma anche con fermezza, hanno chiesto che escano dal capitale della società chi non crede al rilancio dell’attività e chi non ha in mente come attuarlo.

Non ricevono lo stipendio da due mesi (il pagamento del mese di agosto è saltato e ancora non è stato ricevuto nemmeno quello di settembre) e sono preoccupati dal possibile fallimento, perché da oggi e fino al 31 ottobre scatta la cassa integrazione. Si teme che dal giorno dopo i 90 dipendenti effettivi e i 200 stagionali impiegati alle dipendenze dello storico marchio dolciario italiano non varcheranno più i cancelli dei due stabilimenti, quello principale e il secondo di San Martino Buon Albergo, inaugurato appena nel mese di febbraio e che è costato alla società 15 milioni, a debito chiaramente, concausa della crisi finanziaria. (Leggi anche: Fiera Nazionale Pandoro e Panettone a Roma)

Il fatturato nel 2016 è stato di 70 milioni di euro, ma l’indebitamento di Melegatti si attesta a 40 milioni. Gran parte dei ricavi deriva dalla vendita di prodotti di ricorrenza, anche se il nuovo piano industriale prevede che entro i prossimi 5 anni questi non dovranno incidere per oltre il 35% dal 70% attuale derivato solamente dal periodo natalizio. Nel 2010, l’azienda rilevò una società con sede a Mariano Comense, le cui maestranze sono state perlopiù trasferite a Verona. Lo stabilimento a regime dovrebbe essere in grado di produrre 35.000 croissant all’ora (200 milioni all’anno) dai 12.000 attuali.

Rischio fermo attività

La produzione è in ritardo di circa un mese e mezzo rispetto alla concorrenza, a causa dell’attivazione della produzione nel nuovo stabilimento di San Martino solo dalla fine di aprile, con la conseguenza che in estate i dipendenti hanno lavorato anche 63 ore a settimana con turni di 12-13 ore al giorno, salvo non ricevere lo stipendio.

I problemi di liquidità non faranno che aggravarsi, se saltano produzione e ricavi legati al Natale. I fornitori non vengono pagati e, pertanto, le materie prime non arrivano, rendendo impossibile il prosieguo dell’attività, quando queste dovrebbero essere le settimane più intense, in vista delle festività di fine anno. Per questo, servono un piano finanziario immediato per affrontare l’emergenza e un altro di tipo industriale per individuare le strategie corrette per il rilancio.

Di errori ne sono stati commessi anche sul piano del marketing. Si pensi al 2015, quando a sponsorizzare una linea limitata di Pandoro fu l’immagine di Valerio Scanu, che con il marchio Melegatti c’entrerebbe meno di niente. La società ha puntato più di una volta a sottrarsi dalla percezione pubblica di essere un marchio tradizionale, quando dovrebbe farne ragione di orgoglio, essendo stata la prima in Italia ad avere trasformato questo dolce della cucina veronese in un prodotto industriale. Sempre due anni fa, una campagna social fu stroncata sul nascere dagli insulti degli utenti. Sul profilo di Melegatti apparve l’immagine di un albero di Natale con una scritta alla sua sinistra che recitava “La vita è come un albero di Natale, c’è sempre qualcuno che rompe le palle”. Poco dopo, il post fu rimosso e sostituito da uno di stampo tradizionale, con la società a giustificarsi con la scusa che a gestire la sua comunicazione sarebbe stata un’agenzia esterna. Come dire che non sapesse nemmeno cosa pubblicasse!

Pandoro Melegatti in crisi per la gestione finanziaria

La campana ottagonale blu dai bordi dorati rischia seriamente di diventare un felice ricordo di tutti noi italiani.

Sarebbe uno shock non solo per gli effetti occupazionali, bensì pure per la psicologia di un popolo, che vedrebbe scomparire ad un tratto uno dei marchi a cui lega le proprie tradizioni, un simbolo del made in Italy e garanzia di qualità. La vita residua di Melegatti, in assenza di novità, sarebbe di appena 15 giorni. Gli investimenti necessari ammontano a 15 milioni, per cui serviranno nuovi soci, oltre alle famiglie Ronca e Turco, che hanno rilevato la società nel 2007, ma che da 10 anni litigano tra di loro.

Il peggioramento finanziario sarebbe avvenuto proprio nell’ultimo anno e in conseguenza dell’investimento nel nuovo stabilimento. In attesa ancora di conoscere i dati del bilancio 2016, sappiamo che il 2015 si era chiuso con un fatturato di 55,1 milioni, a fronte di debiti per complessivi 15,5 milioni e una perdita netta di 188.000 euro, ma con un Ebitda in crescita a 2,17 milioni, segnalando la capacità societaria di produrre reddito dalla gestione caratteristica e numeri in netto miglioramento rispetto all’esercizio 2012, quando l’Ebitda era tre volte più basso a 801.000 euro, i debiti a 22 milioni e le perdite toccavano gli 1,7 milioni. Le difficoltà, quindi, sarebbero tutte sul piano finanziario, ragione per la quale il rilancio resta più che possibile, a patto di reperire capitali freschi e di rinegoziare i debiti già contratti. I consumatori non stanno voltando le spalle allo storico marchio, anzi il fatturato sarebbe persino in crescita. Qualcuno ha pasticciato con le finanze e dovrebbe forse fare un passo indietro.