Ha destato scalpore il discorso tenuto l’altro ieri da Mario Draghi, anticipando il suo rapporto sulla competitività nell’Unione Europea. Da La Hulpe, località vallone in Belgio, l’ex premier italiano e già governatore della Banca Centrale Europea ha spiegato che siamo rimasti molto indietro rispetto a Stati Uniti e Cina su temi fondamentali come le politiche industriali, ricerca e sviluppo, l’approvvigionamento alle materie prime e per l’incapacità di sfruttare appieno gli abbondanti risparmi privati a sostegno della crescita economica.

In molti lo hanno considerato un “manifesto”, un discorso dal tenore programmatico. In sostanza, Draghi avrebbe lanciato informalmente la sua candidatura alla presidenza della Commissione europea, principale organo di governo delle istituzioni comunitarie.

Meloni silente su Draghi

Il discorso di Draghi è stato lodato in Italia da diversi esponenti politici, specie della maggioranza (ma non della Lega) e dai centristi di Carlo Calenda e Matteo Renzi. La posizione del Partito Democratico per bocca della sua segretaria Elly Schlein è netta: il candidato del gruppo socialista è e resta Nicolas Schmit. Da Palazzo Chigi, silenzio. La premier Giorgia Meloni non si espone. La sua non è una mancata posizione, quanto una scelta tattica. Anzitutto, sta appoggiando sottotraccia il bis di Ursula von der Leyen con cui ha instaurato un ottimo rapporto personale. E c’è dell’altro.

In effetti, le parole pronunciate da Draghi potrebbero non essere state il massimo dell’acume politico. Egli ha nei fatti lanciato la propria candidatura per una posizione per la quale si richiedono capacità di mediazione e di rappresentanza degli equilibri politici, nonché l’appartenenza ad una delle famiglie politiche dell’Europarlamento. Parliamoci chiaramente: Draghi non è ufficialmente il ritratto di un potenziale successore di von der Leyen. Non è un politico, non è vicino a nessun gruppo partitico specifico e non gode del sostegno esplicito di uno o più leader dei Ventisette.

Chi si muove per l’ex premier in Europa

Dietro le quinte, però, si muovono per lui il presidente francese Emmanuel Macron e, in posizione molto defilata, la premier Meloni. Il primo vuole giocarsi la carta Draghi per evitare che alla Commissione resti la tedesca. Oltre a non essere considerata capace a rappresentare Bruxelles in una fase così critica, appartiene alla famiglia del Partito Popolare Europeo. L’inquilino dell’Eliseo, invece, guida l’area dei liberali. Il capo del governo italiano, però, non può intestarsi la candidatura di Draghi. La “brucerebbe” all’istante. Meloni è leader di ECR, la famiglia dei conservatori europei, che non gode di simpatie tra gli attuali leader di Francia e Germania.

Rischio flop come per il Quirinale

Da registrare la reazione positiva del premier ungherese Viktor Orban in merito alla candidatura di Draghi come presidente della Commissione. E questo può favorirlo, numeri alla mano, ma anche costargli critiche e mancato appoggio a sinistra. Meloni ha in mente cosa accadde nel gennaio di due anni fa. Il suo predecessore era ultra-favorito per la corsa al Quirinale. Tutti i partiti sembravano formalmente sostenerlo, ma alla fine il suo fu l’unico nome a non essere preso realmente in considerazione. Sappiamo come finì. E quale fu il suo errore? Essersi lanciato nel toto-nomi.

La politica ha le sue regole, apprezzabili o meno. Non conoscerle o trasgredirle può risultare fatale. E nello specifico Draghi potrebbe avere commesso un’ulteriore leggerezza. Ha un po’ calcato la mano nelle critiche all’attuale governance dell’Unione Europea. Intendiamoci, è stato persino moderato nell’esporre i fatti. Il punto è che non puoi dire a chi ti dovrebbe votare tra qualche mese che ha sbagliato tutto. Rischia di ricevere una reazione negativa, un po’ figlia dell’orgoglio di chi non ci starebbe a sentirsi “commissariato” da un non politico.

Ecco perché servono toni e profilo bassi in questa fase.

Piano B per Draghi: Consiglio europeo

Anche perché stiamo facendo i conti senza l’oste. I risultati delle elezioni europee potrebbero esitare un vincitore chiaro e portare alla rapida nomina del nuovo presidente della Commissione, possibilmente della stessa von der Leyen. Non è lo scenario di base, ma non possiamo escluderlo. Il piano B dei filo-Draghi sarebbe di nominarlo a capo del Consiglio europeo. Non è un organismo politicamente rilevante quanto la Commissione, perlomeno non lo è stato finora. Per l’ex BCE significherebbe accontentarsi. A Meloni non andrebbe poi così male: avrebbe un suo rappresentante tra le massime istituzioni comunitarie e potrebbe nominare ugualmente un esponente di Fratelli d’Italia come commissario.

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