Tornano le file davanti alle banche in India per ritirare denaro contante agli ATM, con la conseguenza che diversi ne sono rimasti a secco, seminando la paura tra i risparmiatori. Il ministro delle Finanze, Arun Jaitley, rassicura che la liquidità del sistema bancario sarebbe più che sufficiente a garantire l’ordinaria attività degli istituti, mentre la Reserve Bank of India ha fatto sapere che, ove fosse necessario, sarebbe pronta a stampare più rupie per garantire livelli soddisfacenti di liquidità monetaria.

Il momento è delicato, perché tra poche settimane si vota nel sub-continente asiatico e il BJP del premier nazionalista Narendra Modi punta al bis, riscuotendo il successo di 4 anni di risultati positivi sul fronte dell’economia, con il pil ad essere cresciuto del 7,2% annuo nell’ultimo trimestre del 2017, superando anche la Cina. Una delle misure di cui il governo uscente va più orgoglioso riguarda proprio il denaro, ovvero quella “demonetizzazione” avviata nel novembre del 2016, quando le banconote dal valore più alto, cioè da 500 e 1.000 rupie (6,50 e 13 dollari di allora), vennero ritirate dalla circolazione e sostituite da altre di nuova emissione. Obiettivo: stanare gli evasori fiscali e la criminalità sull’assunto che gran parte di questi tagli fosse nelle loro mani.

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Poiché le 500 e le 100 rupie rappresentavano l’86% della liquidità circolante, la misura ebbe un impatto drastico sul contante disponibile per gli indiani, che nel 98% dei casi pagano ancora cash; anche se non sembra che da allora il rapporto tra denaro in circolazione e pil sia diminuito granché, passando semmai solo dal 12% all’11% attuale stimato.

Perché manca il contante in India

Ma il problema sarebbe adesso capire quale sia la ragione di questa carenza di contante agli ATM bancari. Nelle prime due settimane di aprile, la domanda di liquidità è cresciuta di 450 miliardi di rupie, pari a 6,9 miliardi di dollari.

Come mai? Ci sarebbe dietro la peculiare stagione delle semine, che spinge molti agricoltori a dovere effettuare pagamenti. Tuttavia, si teme che alla base della corsa al bancomat vi sarebbe la perdita di fiducia verso il sistema bancario, dopo che a febbraio è stata scoperta una frode da 2 miliardi di dollari e ai danni dell’istituto statale Punjab National Bank. In pratica, un gioielliere ha corrotto un funzionario della banca per prosciugare i depositi, prima di fuggire all’estero.

Non solo. In Parlamento è stata presentata una proposta di legge, che punta a consentire alle banche di utilizzare i risparmi dei clienti per salvare un istituto in crisi. E, infine, pare che un ruolo determinante lo avrebbe anche la fase elettorale. La pratica di comprare il voto dei cittadini per i candidati dei numerosi partiti indiani è ben radicata e questo potrebbe avere comportato un’impennata dei prelievi agli ATM.

Comunque stiano le cose, di certo le opposizioni stanno approfittando delle tensioni per colpevolizzare il governo sulla demonetizzazione di quasi un anno e mezzo fa, sostenendo che gli strascichi negativi di quella decisione sarebbero arrivati intatti fino ad oggi. In effetti, se Modi si è mostrato molto veloce nel ritirare dalla circolazione oltre i quattro quinti delle banconote vigenti, non altrettanto lesto è stato nell’emettere i nuovi tagli, con la conseguenza che il denaro disponibile per le banche sarebbe diminuito. Si tratta, in parte, di un effetto voluto, essendo il vero obiettivo del premier di spingere sempre più milioni di indiani a pagare con carte di credito e debito, ovvero in modalità tracciabile, così da comprimere l’evasione fiscale e la corruzione. Ma a ridosso delle elezioni, non può certo permettersi di indisporre milioni di famiglie, anche se finora proprio le fasce più deboli della popolazione lo hanno fortemente sostenuto nella sua politica di lotta al cash, intravedendo in essa un modo per contrastare anche le diseguaglianze sociali dettate da arricchimenti illeciti.

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