E’ diventato presidente da pochi mesi per la terza volta e a distanza di dodici anni dalla seconda. Luis Inacio Lula da Silva è nuovamente alla guida del Brasile e sta cercando di riplasmare l’economia emergente secondo la sua visione. La prima “vittima” del suo cambio di linea è il governatore della banca centrale, Roberto Campos Neto. La sua colpa? Avere alzato “troppo” i tassi d’interesse. La stretta monetaria qui iniziava ben un anno prima della Federal Reserve. Agli inizi del 2021 i tassi in Brasile erano al minimo storico del 2%.

Dopo dodici rialzi sono saliti al 13,75%, ai massimi dal 2017. Questa politica ha reso possibile, tuttavia, la discesa dell’inflazione dal picco del 12% raggiunto un anno fa al 4,2% di aprile. Un successo superiore a quello registrato dalle principali banche centrali.

Bolsonaro volle indipendenza banca centrale

Solo che Lula non è affatto contento. Teme che l’economia brasiliana si raffreddi al punto di entrare in recessione. La crescita è stata del 2,9% nel 2022, mentre per quest’anno è attesa all’1,2%. I consumi privati, ossatura del PIL, passano dal +4,3% al +1,6% atteso. Un problema per il presidente di sinistra, che punta sulla spesa pubblica per stimolare la crescita. Il rialzo dei tassi, però, limita la sua agenda. Lo scorso anno, il deficit è stato del 4,5% e il debito pubblico all’86% del PIL. Il costo implicito del debito è salito all’8,6%.

Grazie a questa stretta, il cambio si è rafforzato di oltre il 10% contro il dollaro dai minimi toccati a luglio. Anche questo ha contribuito a disinflazionare l’economia. Prima di finire il mandato, l’ex presidente Jair Bolsonaro aveva fatto approvare una legge per rendere autonoma la banca centrale rispetto al potere politico. Tra le misure previste la nomina di governatore e board per quattro anni e non coincidenti con il mandato presidenziale. L’unico obiettivo a cui l’istituto deve attenersi è di centrare l’inflazione tra l’1,75% e il 4,75%.

Lula come Erdoga, taglio dei tassi per finanziare agenda sinistra

Campos Neto continua a non parlare di taglio dei tassi, nonostante il mercato prevede che accada già entro la fine di quest’anno. Lo stesso governo lo pretende e il presidente del Senato, Rodrigo Pacheco, ha chiarito espressamente che questo tipo di politica monetaria mette in discussione l’autonomia della banca centrale. In altre parole, la sinistra brasiliana minaccia espressamente di stracciare la legge di due anni e di sopprimere l’indipendenza della politica monetaria. Una svolta in stile Turchia di Erdogan. Ankara vive da anni questa problematica, con il presidente ad avere licenziato uno dopo l’altro i governatori più restii a portare avanti la sua lotta ai tassi. I risultati sono stati il crollo della lira turca, l’esplosione dell’inflazione e il prosciugamento delle riserve valutarie.

Il Brasile ad oggi possiede riserve valutarie superiori a 340 miliardi di dollari, cambio stabile, inflazione sotto controllo e crescita, tutto sommato, non così deludente. Ha varato diverse riforme di stampo liberale sotto Bolsonaro, tra cui la riforma delle pensioni che si trascinava da anni nel dibattito politico. Lula rischia di rimettere tutto in discussione per perseguire un’agenda ideologica imbastita da spesa pubblica e aumenti delle tasse sui redditi medi e alti. Il taglio dei tassi è una richiesta necessaria per finanziare i suoi costosi piani di spesa. E dire che l’inflazione fa male proprio ai più poveri, che Lula pretende di rappresentare.

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