E’ passato inosservato l’appello lanciato dall’ex capo-economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, alla Federal Reserve, affinché si spinga ad acquistare anche azioni e persino “cose” con l’arrivo di una eventuale prossima crisi. L’idea non ha raccolto la convinzione del governatore della Fed di Boston, Eric Rosengren, che ritiene che per simili misure non vi sarebbe forse il necessario sostegno politico. Sarà, ma chi lo avrebbe detto 10 anni fa che sarebbe stato consentito alla Fed prima e alle altre banche centrali dopo rastrellare titoli del debito pubblico e persino di società e banche private per iniettare la liquidità sui mercati e sostenere i prezzi contro il rischio di una caduta dell’economia in un misto tra deflazione e depressione? Eppure, rispetto al 2008 il bilancio della banca centrale americana si è espanso da 800 a 4.500 miliardi di dollari e lo stesso è accaduto con la BCE, che ha acquistato assets in 3 anni e mezzo per circa 2.500 miliardi di euro.

Ecco trovata la scusa delle banche centrali per tenere i tassi bassi a lungo

L’appello di Blanchard coglie le preoccupazioni diffuse tra economisti e banchieri centrali sulle scarse munizioni possedute nel caso in cui una crisi economica o finanziaria arrivasse da qui a breve. La Fed ha sì alzato i tassi sin dal dicembre 2015, ma li tiene ancora al 2%, un livello nettamente inferiore rispetto al 5,25% pre-crisi e negativo in termini reali, considerando che da mesi l’inflazione americana si attesta sopra il 2%. Ancora più critica la situazione a Francoforte, dove i tassi continuano ad essere mantenuti azzerati e gli acquisti dei bond proseguiranno fino a tutto quest’anno, mentre di una prima stretta se ne parlerà solo tra circa un anno, dopo l’estate 2019.

Cosa accadde quando nel 2008 implose Wall Street con il fallimento di Lehman Brothers e la crisi da finanziaria divenne drammaticamente economica nel giro di una notte? La Fed tagliò i suoi tassi di 500 punti base in pochi mesi e iniettò liquidità sui mercati con l’acquisto di Treasuries e bond coperti da garanzie immobiliari per 60 miliardi di dollari al mese.

La cura funzionò, pur con tutti gli inevitabili effetti collaterali del caso, in quanto il rischio deflazione fu subito allontanato e la ripresa del pil avvenne praticamente dopo pochi mesi. Ma se accadesse oggi? La Fed potrebbe sempre azzerare i tassi, ma significherebbe ridurli di appena 200 punti base, mentre nuovi cicli di QE non farebbero scendere di chissà quanto i rendimenti sovrani, che già oggi si attestano su livelli storicamente bassi e pari al 3% o poco più sulla scadenza decennale, quando prima della crisi stavano al 5%. Certo, prima di passare a opzioni “nucleari” come quelle suggerite da Blanchard vi sarebbe l’alternativa dei tassi negativi, la cui adozione in futuro non è stata esclusa dall’ex governatore Janet Yellen. Tuttavia, sembra questione di tempo prima che il novero degli assets acquistabili si espanda e riguardi un numero maggiori di tipologie, anche impensabili oggi come oggi.

Verso governatori centrali onnipotenti

Si pensi a istituti come BCE, Riksbank, SNB e Bank of Japan, tutti con tassi negativi imposti già da anni e con rendimenti sottozero per i titoli sovrani a breve e medio-lungo termine. Cos’altro potrebbero fare nel caso in cui una minaccia deflattiva colpisse le rispettive economie? In soccorso arriverebbe l’“helicopter money”, ma contrariamente a quanto la metafora di Milton Friedman suggerisce da decenni, gli euro, i dollari, gli yen, le corone, i franchi, le sterline, etc., verranno sparati probabilmente non da un elicottero, bensì dalle stesse banche centrali, che arriveranno ad acquistare persino titoli rappresentativi di capitale di rischio sui mercati e – fate bene attenzione – beni fisici.

Perché? Oltre a quanto sopra detto, i governatori centrali sono consapevoli che le loro politiche di repressione finanziaria con tassi azzerati hanno finito per alimentare i populismi, perché la percezione pubblica del loro operato è stata negativa in questi anni. Gran parte degli elettori ritiene che le banche centrali abbiano impiegato migliaia di miliardi per aiutare la finanza e non l’economia reale. Quale migliore risposta da parte loro di acquisti massicci di beni di ogni tipo per sostenere direttamente le imprese, ossia la produzione e i consumi?

Se quanto stiamo immaginando è vero, i deliri di onnipotenza delle banche centrali non solo non hanno raggiunto il picco, ma hanno ancora margini per salire a nuove e inusitate vette. E con essi, anche il potere di “vita e di morte” su questo e quel comparto dell’economia, perché è evidente che a uscire vincitori dalla prossima crisi sarebbero quelle imprese che per prime riusciranno a farsi sostenere la produzione in eccesso dagli istituti, con la scusa che si salveranno così tanti posti di lavoro e quote di manifattura. La BCE nell’Eurozona si sostituirà ai governi e alle politiche fiscali per sostenere le 19 economie dell’area come meglio crederà. Il successore di Draghi sarà più potente di lui, con un cenno del capo deciderà chi sopravviverà e chi dovrà chiudere battenti. Lo chiameranno turbo-capitalismo, ma sarà una versione rinata del socialismo, che stavolta non verrà attuato tramite sistemi dittatoriali e rivoluzioni del proletariato, bensì da pochi detentori dell’unico potere che conta e conterà sempre più: la politica monetaria.

Le banche centrali puntano al socialismo globale?

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