Resi noti i verbali del Comitato tecnico e scientifico (Cts), che erano stati secretati dal governo Conte, è emersa una realtà molto diversa da quella che Palazzo Chigi aveva raccontato agli italiani sin da quel 9 marzo scorso, quando tutta Italia venne chiusa con il “lockdown”, al fine di evitare la diffusione dei contagi da Coronavirus. Soltanto il giorno prima, lo stesso premier Giuseppe Conte annunciava la chiusura della Lombardia e di 14 province del Centro-Nord Italia, tra Piemonte, Veneto, Marche ed Emilia-Romagna.

Fino a qualche giorno fa, tutti eravamo convinti che la decisione del governo di chiudere tutta Italia fosse stata assunta a seguito di sollecitazioni in tal senso dal Cts. Ora, sappiamo che così non fu e che, semmai, il Cts si limitò ad approvare ex post tale decisione, come emergerebbe dai verbali non ancora desecretati e di cui la stampa inizia a citare il contenuto pregnante. Sappiamo anche che il Cts chiese in data 3 marzo la chiusura di Alzano Lombardo e Nembro, ma sia il governo che la Regione Lombardia risposero picche.

Lasciamo perdere il polverone politico e concentriamoci sul vero “sbugiardamento” che è emerso da questi verbali. Conte ci aveva sempre narrato di un governo quasi replicante delle decisioni del Cts, un modo per deliberare provvedimenti in sé gravi sul piano delle libertà costituzionali e dei contraccolpi economici, senza assumersene la piena responsabilità “politica”. Per quasi 5 mesi ci siamo sentiti dichiarare a ogni critica mossa verso questo o quell’atto dell’esecutivo che esso fosse frutto dei consigli di centinaia di esperti e, pertanto, andasse rispettato e sottratto alla divergenza di vedute politiche.

Le decisioni sono state politiche

Finalmente, il velo di ipocrisia con cui l'”avvocato del popolo” ha gestito questa fase – bene o male, non è questo il senso dell’articolo – è caduto. Adesso, sappiamo che Conte ha deciso con diversi giorni di ritardo rispetto alle sollecitazioni del Cts di chiudere i comuni principalmente colpiti dalla pandemia e contrariamente alle sue indicazioni ha messo in quarantena l’intera Nazione.

A posteriori, possiamo affermare che quest’ultima decisione si sia rivelata eccessiva, che abbia contribuito a deprimere l’economia nel Sud Italia più di quanto non fosse necessario, dato che fortunatamente i contagi sotto il Po sono rimasti sempre contenuti. Per contro, il premier può eccepire di avere adottato la decisione a suo tempo ritenuta più giusta per evitare una catastrofe sanitaria nel Meridione, le cui strutture ospedaliere sappiamo essere carenti già in tempi ordinari.

Tutto vero, ma il problema resta un altro: la politica. Il virus ci ha fatto ingenuamente cadere nella trappola di quanti hanno voluto far credere che il processo decisionale sia stato avulso dalla sfera politica e avocato dai tecnici per la loro preparazione specifica in materia. Non è mai stato davvero così, solo che i verbali ce lo hanno chiarito esplicitamente. Se il pil a fine 2020 risulterà a -10/-15%, se i disoccupati saranno aumentati di qualche milione di unità, se il debito pubblico sarà esploso a livelli di allarme rosso-fuoco e se il Sud sarà imploso sul piano economico e sociale, tutto ciò lo si dovrà ricondurre a scelte “politiche”, che molti di noi giudicheranno probabilmente giuste e altri sbagliate.

L’importante che si sappia che siano stati la politica e le istituzioni repubblicane a decidere se e quando chiudere e per quanto tempo. I tecnici sono stati la foglia di fico per mettersi al riparo dalle critiche, un vizio italico ormai di lungo corso, come quando nel 1993, nel 1995 e nel 2011 i partiti del tempo finsero la ritirata per appoggiare governi “tecnici”, che tali mai furono nei fatti. Semplicemente, abdicarono al loro ruolo di assunzione delle responsabilità per schermarsi dietro figure apparentemente super-partes, alle quali addossare le colpe di eventuali effetti collaterali.

Il gioco non funziona più, anzi ha stancato. E Conte, da autoproclamatosi avvocato del popolo, è finito con indicargli il nome sbagliato del giudice per coprire sé stesso.

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