Era il 9 marzo 2020, quando l’allora premier Giuseppe Conte comunicò a reti unificate che avrebbe imposto il “lockdown” a partire dal giorno successivo contro la pandemia. Fu l’inizio di un periodo buio per l’Italia e, di lì a brevissimo, per il resto dell’Occidente. Mai avremmo pensato che le nostre libertà fondamentali sarebbero state limitate o persino temporaneamente soppresse. Anche solo uscire di casa divenne un lusso per pochi, gli spostamenti furono sorvegliati e le città si spensero.

A distanza di due anni e mezzo, si torna a parlare di lockdown energetico. L’espressione punta a distinguere modalità e, soprattutto, finalità di interventi che rischiano di essere attuati con l’arrivo dell’inverno.

Com’è nata la crisi energetica

Il 24 febbraio scorso, la Russia di Vladimir Putin invase senza alcuna ragione l’Ucraina per annetterla. L’Occidente reagì compatto con durissime sanzioni finanziarie contro Mosca, tra cui il “congelamento” di 300 miliardi di dollari delle riserve valutarie depositate in Europa e Nord America. Prima dell’inizio della guerra, già la Russia stava usando il gas come arma per piegare il nostro continente. Paesi come Germania, Austria e Italia sono stati dipendenti dal gas russo fino al 40-50% dei loro consumi. Con la guerra, Mosca inizia a ridurre le forniture di gas all’Europa, facendone schizzare i prezzi. Nelle ultime settimane, il salto di qualità: rubinetti a tratti chiusi per provocare una vera e propria crisi energetica.

Il prezzo del gas, che era stato compreso tra 20 e 30 euro per mega-wattora, è arrivato a impennarsi fin sopra 300 euro. Il caro bollette sta già costringendo molte attività a tagliare la produzione, se non a sospenderla. Le famiglie subiscono i forti rincari e il peggio deve arrivare con l’aumento dei consumi in inverno. Si parla già di lockdown energetico in corso per descrivere la chiusura “volontaria” di molte imprese ed esercizi commerciali a causa dell’esplosione dei costi.

Ma questa è solo la parte meno grave del significato dell’espressione.

Il piano sul lockdown energetico

Il governo sta allestendo un piano di austerity, che similmente agli anni Settanta ridurrà i consumi di gas e luce, così da allentare la dipendenza da Mosca e al contempo tagliare il costo esorbitante della bolletta energetica. Negli uffici pubblici e nelle abitazioni private, a partire dai condomini con riscaldamento centralizzato, la temperatura massima consentita sarà di 19 gradi. Probabile che i termosifoni saranno accesi con alcuni giorni di ritardo rispetto alle date usuali. E saranno spenti negli spazi comuni degli edifici pubblici, come i corridoi.

Se la crisi lo rendesse necessario, ai negozi sarebbe imposto lo spegnimento delle insegne e delle luci nelle vetrine. Inoltre, le porte di accesso dovrebbero rimanere chiuse per evitare dispersioni di calore. La stessa illuminazione urbana sarebbe dimezzata, con i lampioni che rimarrebbero accesi alternatamente. Se neppure tutto ciò ancora bastasse, si arriverebbe al lockdown energetico vero e proprio. In cosa consisterebbe? Nella chiusura anticipata di negozi e locali. I primi resterebbero aperti non oltre le ore 19.00, i secondi fino alle ore 23.00. Si tratta di un piano ancora da allestire, ma queste sono state le indiscrezioni.

Insomma, se durante la pandemia era venuta meno la libertà di movimento, con la crisi energetica sarebbe preservata, ma di fatto depotenziata. Potremmo uscire la sera, ma per andare a zonzo tra strade buie e locali chiusi. E forse non avremmo neanche l’alternativa di restare a casa a guardare la TV, perché s’ipotizza lo spegnimento del segnale televisivo dopo un certo orario. Non ci resterebbe che dormirci su.

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