Lo spread è tornato. I rendimenti dei titoli di stato italiani salgono e le distanze con quelli tedeschi anche. Il costo del debito pubblico aumenterà ulteriormente nei prossimi mesi e questo impatta negativamente sulle casse dello stato, già in affanno con la pandemia. Per di più, la BCE sta ritirando gli stimoli monetari. Questo significa che il Tesoro non potrà più beneficiare degli acquisti automatici di BTp da parte di Francoforte. Dovrà sperare solamente nel mercato, per cui dovrà fare di tutto per convincerlo della bontà dei conti pubblici, alias della spesa pubblica.

Per i lavoratori in attesa di conoscere le novità in materia di riforma delle pensioni, una cattiva notizia. Quota 41 è un miraggio che si allontana, sebbene già non fosse una misura gettonata nel governo.

Molto difficile quota 41 per tutti

Per tutto quest’anno, sappiamo che i lavoratori potranno avvalersi dell’uscita anticipata grazie a quota 102, che a sua volta rimpiazza quota 100. Potranno andare in pensione con almeno 64 anni di età e 38 anni di contributi. Dall’anno prossimo, in assenza di proroghe e novità, restano solo i termini della legge Fornero: pensione di vecchiaia a 67 anni o pensione anticipata con almeno 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne). Questo in estrema sintesi.

L’ipotesi di quota 41 si allontana per una ragione elementare come vi spiegheremo: costa troppo. Essa si applica ad oggi ai cosiddetti lavoratori precoci, vale a dire quanti abbiano maturato almeno 12 mesi di contributi prima del compimento dei 19 anni di età e rientrino in determinate categorie (lavori gravosi, invalidi civili almeno al 74%, caregiver, disoccupati). Indipendentemente dall’età anagrafica, potranno andare in pensione se muniti di almeno 41 anni di contributi. L’assegno è calcolato con il sistema misto.

Flessibilità con contributivo puro

Questa ipotesi viene meno proprio perché i conti pubblici non ne consentirebbero un’applicazione generalizzata.

In pratica, sarà molto difficile estendere la platea degli attuali beneficiari. Questo non significa che non si troverà un meccanismo per aggirare la legge Fornero e consentire l’uscita anticipata dal lavoro. Solo che esso sarà costoso. Prende sempre più piede l’idea di consentire a tutti i lavoratori con almeno 20 anni di contributi di andare in pensione già a 63 o 64 anni, ma accettando il ricalcolo dell’assegno solo con il metodo contributivo.

In questo modo, il lavoratore intascherebbe solo sulla base di quanto versato durante la sua carriera professionale. Il costo a carico dello stato sarebbe molto limitato e, anzi, negli anni si tradurrebbe in un guadagno, dato che gli assegni risulterebbero più bassi di quelli erogati con il sistema misto. In alternativa, la pensione in due tempi: a 63/64 anni si percepirebbe solamente la parte dell’assegno maturata con il metodo contributivo, a 67 anni anche la quota retributiva, per cui l’assegno diverrebbe pieno. Del resto, spread o non spread, il premier Mario Draghi aveva avvertito già a dicembre: flessibilità sì, ma senza minacciare l’equilibrio del sistema previdenziale.

[email protected]