Lira turca a 16,50 contro il dollaro, ai minimi dal dicembre scorso, quando sprofondò ai minimi storici. Allora, il cambio superò la soglia di 18. Da inizio gennaio, la valuta emergente perde il 19% contro la divisa americana. Nel 2021, aveva registrato un pesante -44%. E la crisi è tutt’altro che finita. L’inflazione a maggio in Turchia è esplosa al 73,5%, il dato più alto dal 1998. I prezzi dei generi alimentari, che pesano per un quarto del paniere, hanno segnato +91,6%. A Istanbul, l’area metropolitana più ricca e popolosa della Turchia con 15,5 milioni di abitanti, l’inflazione è stata dell’87,35%.

I prezzi alla produzione, poi, sono aumentati del 132,16%, un dato che prospetta un’ulteriore accelerazione dei prezzi al consumo.

Lira turca e riserve valutarie giù

L’altissima inflazione è provocata dai bassissimi tassi d’interesse fissati dalla banca centrale. Il costo del denaro è da mesi fermo al 14%, per cui attualmente risulta negativo per il 60% in termini reali. Nessuno peggio nel mondo. Tenere denaro in valuta locale equivale bruciarlo per la gran parte. Per questo, i capitali sono in fuga dalla Turchia e la lira turca si deprezza. Tuttavia, la banca centrale impedisce al cambio di sprofondare ai livelli a cui lo porterebbe il mercato. Continua a sostenerlo con vendite di dollari ed euro, ma le riserve valutarie si sono praticamente prosciugate. A fronte dei 61,3 miliardi di dollari lordi a fine maggio, il dato netto già un mese fa si attestava ad appena 17 miliardi. Senza gli swaps, le riserve sarebbero sottozero.

Con questi numeri, difficilmente Ankara potrà sostenere la lira turca nei prossimi mesi. Ciò significa che, man mano che l’inflazione sale, la fuga dei capitali deprezzerà ulteriormente il tasso di cambio. Escluso un rialzo dei tassi d’interesse prima delle elezioni presidenziali del 2023, quando il presidente Recep Tayyip Erdogan punta alla rielezione. I sondaggi lo danno potenzialmente perdente, ma manca uno sfidante di peso delle opposizioni unite.

La scommessa (già persa) di Erdogan

A dicembre, il collasso della lira turca fu arrestato con il varo del piano “salva-risparmi” di Erdogan: ai cittadini che porteranno in banca i loro risparmi in valuta locale, saranno garantiti tassi d’interesse non inferiori al tasso di deprezzamento del cambio contro dollaro ed euro. In altre parole, un rialzo dei tassi mascherato e a carico dei conti pubblici, dato che a pagare la differenza tra svalutazione e interessi bancari è lo stato.

Lo stratagemma è servito a comprare tempo, ma questo è stato impiegato assai malamente, se è vero che la banca centrale ha tenuto i tassi fermi, mentre l’inflazione galoppava. Di fatto, l’eccessiva liquidità sul mercato sta facendo collassare il potere d’acquisto delle famiglie. Erdogan ha riportato l’economia ai tempi bui dell’inflazione alle stelle, che sembravano essere finiti una volta per tutte proprio sotto i suoi governi. Egli punta a trasformare la Turchia in un’economia manifatturiera esportatrice e a sostenere il mondo delle imprese attraverso una politica del credito abbondante e a bassissimo costo. Per la lira turca l’ora più buia dovrà ancora arrivare.

[email protected]