Altro che testa a testa ipotizzato dai sondaggi. A Istanbul il sindaco uscente Ekrem Imamoglu ha battuto nettamente il candidato filo-governativo Murat Kurum, ottenendo il 51% dei consensi contro meno del 41%. Trionfo anche per il sindaco uscente di Ankara, sempre del Chp, il partito socialdemocratico all’opposizione in Turchia, che ha vinto in tutte le prime cinque grandi città della nazione, compresa Smirne. La sconfitta alle elezioni amministrative di domenica scorsa per il presidente Recep Tayyip Erdogan è netta. E per la lira turca non si metterebbe bene, come vedremo dall’analisi di seguito.

Sconfitta storica per Erdogan

Sconfitta storica per Erdogan © Licenza Creative Commons

Sconfitta di Erdogan senza precedenti

Il partito islamico-conservatore Akp di Erdogan ha ottenuto nel complesso meno consensi del Chp per la prima volta da oltre venti anni, cioè da quando è arrivato al governo nazionale. Perdite di voti anche nella roccaforte storica dell’Anatolia Centrale. Qui, anche a vantaggio di altre due formazioni di destra: i nazionalisti degli alleati Mhp e del Nuovo Partito per il Benessere. Molto bene anche il partito filo-curdo e di sinistra Dem, che si è imposto nell’area meridionale del paese.

Erdogan ha subito riconosciuto la sconfitta, sostenendo di non avere raggiunto i risultati sperati con la sua rielezione di meno di un anno fa. Una batosta che si deve ai problemi economici che affliggono l’economia. L’inflazione è esplosa sopra il 67% e, secondo gli analisti indipendenti, sarebbe in realtà sopra il 100%. La lira turca ha perso un altro 38% con la svalutazione avviata dalla fine di maggio dello scorso anno. I tassi di interesse sono saliti nel frattempo dall’8,50% al 50%. Tutti fattori che hanno reso le famiglie più povere.

Inflazione sempre più alta in Turchia

Inflazione sempre più alta in Turchia © Licenza Creative Commons

Lotta all’inflazione ancora infruttuosa

I risultati della lotta all’inflazione non si sono ancora visti.

Del resto, il nuovo team economico ad Ankara ereditava un disastro. La svalutazione del cambio non è stata, ad esempio, ad oggi del tutto attuata. Ed essa non fa che aumentare i prezzi dei beni importati. Adesso, il rischio per la lira turca arriva proprio dai tassi di interesse. Erdogan ha sempre perseguito l’obiettivo di contenerli per ravvivare l’economia e, sostiene, per abbassare la crescita dei prezzi al consumo. Si fa interprete, dunque, di una teoria in palese contrasto con quella accettata dalla generalità degli economisti internazionali. Dopo la rielezione accettò di tornare a politiche economiche ortodosse per evitare la pericolosa spirale tra inflazione e prosciugamento delle riserve valutarie. Da domenica sera, tutto torna in discussione.

Erdogan non ha appuntamenti elettorali di rilievo da qui al 2028, anno in cui non potrebbe neppure correre per un terzo mandato, vietato dalla Costituzione. E ha già espresso l’intenzione di non ricandidarsi. Ma il problema è che adesso il suo partito rischia di indebolirsi ulteriormente tra inflazione alle stelle, assenza di un chiaro successore e nascita a sinistra della stella di Imamoglu, che tutti vedono il candidato naturale per le attuali opposizioni alle elezioni presidenziali tra quattro anni. La tentazione per Erdogan sarebbe di accelerare la crescita economica, puntando sul taglio dei tassi. Avrebbe effetti catastrofici sulla lira turca, quando ancora l’inflazione continua a salire di mese in mese su base tendenziale.

Lira turca naviga tra incertezze future

Certo, può anche accadere che Erdogan, non coinvolto in prima persona dalla prossima corsa elettorale, a differenza del passato si mostri un po’ più paziente e accetti che i tassi rimangano più alti a più a lungo. Negli ultimi dieci mesi, va riconosciuto, ha difeso l’impostazione della banca centrale dagli attacchi interni.

La lira turca ha bisogno come non mai di stabilità e certezze. Sul piano politico, il principale risultato della sconfitta della maggioranza sembra essere l’incapacità per Erdogan di modificare la Costituzione per assegnarsi il diritto a un terzo mandato. Resta da vedere se emergeranno nei prossimi anni figure credibili nel suo partito per succedergli. E se alzeranno la voce a sostegno o contro le politiche più “market-friendly” che il governo è tornato ad attuare.

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