Nel 2021, l’ISTAT segnala che l’aumento degli stipendi orari per i lavoratori italiani coperti dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL) è stato dello 0,6%. In particolare, a dicembre si è registrata una crescita mensile dello 0,1% e annuale dello 0,7%. Ma tra settore e settore vi sono state grosse disparità. Nelle farmacie private, gli aumenti sono stati del 3,9%, nelle telecomunicazioni del 2,5% e nel credito e assicurazioni del 2%. Nulli, invece, per i lavoratori dell’edilizia, il commercio, servizi di informazione e comunicazione e pubblica amministrazione.

Certo, bisogna considerare che i CCNL non sono rinnovati annualmente. Dei 41 contratti esistenti, 32 a fine 2021 erano in attesa di rinnovo. E il tempo medio di rinnovo è salito a 31,3 mesi dai 20,9 medi di gennaio 2021. In pratica, i lavoratori aspettano mediamente oltre due anni e mezzo dalla scadenza del contratto per averne uno aggiornato. E questo diventa un grosso problema quando l’inflazione corre.

Stipendi lavoratori giù con l’inflazione

L’anno scorso, la crescita tendenziale media dei prezzi rilevata dall’ISTAT è stata dell’1,9%, ma a dicembre risultava salita al 3,9%. Questo significa che gli stipendi orari dei lavoratori italiani sono diminuiti in termini reali dell’1,3% nell’intero anno e del 3,2% a dicembre. Di fatto, milioni di famiglie sono diventate più povere. Non serviva che ce lo confermasse l’istituto di statistica, perché la percezione comune è proprio questa da mesi andando a fare la spesa. Rincari a doppia cifra per una serie lunga di beni e servizi, tra cui la benzina. Gli aumenti degli stipendi li stanno mitigando molto parzialmente, per cui il potere d’acquisto si va riducendo di mese in mese.

Va da sé che il tema del caro bollette non possa essere affrontato solamente in termini emergenziali, cioè ricorrendo agli aiuti dello stato. Questo significherebbe scaricare l’inflazione sui conti pubblici. Oltre che impossibile, è pure pericolosissimo per una nazione con un debito pubblico sopra il 150% del PIL.

Eppure, giustamente dalle famiglie alle numerose categorie produttive chiedono interventi per cercare di superare la stangata. Gli autotrasportatori lamentano aumenti del carburante insostenibili, le aziende cosiddette “energivore” denunciano la possibile chiusura temporanea degli impianti per l’esplosione dei costi di luce e gas. La ripresa dell’economia rischia di arrestarsi, come sta già accadendo in Germania, dove il PIL nell’ultimo trimestre dello scorso anno è diminuito dello 0,7% sui tre mesi precedenti, lasciando presagire la caduta in una seconda recessione sotto la pandemia. Ad oggi, sarebbe l’unico caso tra le grandi economie europee.

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