Perché Christine Lagarde straparla? Semplicemente perché è poco credibile. Guardate il tasso di cambio euro-dollaro. Non riesce a superare a superare, se non per qualche ora, la barriera di 1,10. Anzi, nelle ultime settimane si è stabilizzato a cavallo di 1,09. Ha voglia la Banca Centrale Europea (BCE) a promettere che i tassi d’interesse saliranno. Se nel frattempo fa lo stesso la Federal Reserve, le esternazioni di Francoforte risultano neutralizzate. Anche Jerome Powell aveva definito “transitoria” l’inflazione che iniziava a galoppare già negli ultimi mesi del 2021.

In termini di credibilità, non starebbe messo tanto meglio della collega francese. La vera differenza tra i due, però, la fanno le condizioni dell’economia. Gli Stati Uniti restano in crescita e l’occupazione si mostra solidissima, mentre l’Eurozona è caduta in recessione.

Inflazione su tra profitti e salari

Lo capirebbe anche un pischello che sia più facile continuare ad aumentare il costo del denaro dove l’economia è più forte. Per questo Lagarde ha la necessità di rilasciare interviste ogni due e tre. Deve ribadire con forza quanto spiegatole dai suoi funzionari: sui tassi BCE bisogna fare la voce grossa per “raffreddare” le aspettative d’inflazione. E questa settimana, parlando ad un quotidiano transalpino, ha spiegato che l’istituto da lei guidato non se ne starà con le mani in mano nel caso in cui registrasse una contestuale crescita dei salari e dei margini di profitto. O gli uni o gli altri, è l’aut-aut imposto da Lagarde.

A preoccupare la BCE sono le rivendicazioni salariali dei sindacati, che puntano legittimamente a recuperare il potere di acquisto perduto in questi anni dai lavoratori. Ma ciò rischia di portare a una sterile rincorsa tra salari e inflazione, perpetuando quest’ultima. In effetti, mentre in una prima fase fu il boom dei prezzi energetici ad alimentare l’inflazione, adesso le dinamiche non hanno più granché a che vedere con questo fenomeno.

L’inflazione “core”, al netto di energia e prodotti alimentari, a giugno è tornata a salire dal 5,3% al 5,4%. Dunque, se aumenti salariali devono essere, o risultano in linea con la crescita della produttività o vadano a discapito dei margini di profitto. Questo è il pensiero di Francoforte, perché solo così si eviterebbe di scaricare tali aumenti sui prezzi.

Attacco di Visco ai falchi su tassi BCE

Nei mesi scorsi, anche l’ultra -“colomba” Ignazio Visco aveva avvertito contro una spirale salari-inflazione. Ma le posizioni tra il governatore della Banca d’Italia e la maggioranza del board BCE divergono per il resto. Questa settimana, il numero uno di Palazzo Koch, che a fine ottobre conclude il suo secondo e ultimo mandato, è sembrato persino infastidito dai toni utilizzati verso i colleghi “falchi” del Nord Europa. Si è detto incapace di comprendere come possano reclamare un aumento dei tassi BCE anche al costo di commettere errori “per eccesso”, preferendoli apertamente agli “errori per difetto”. Ha invocato un “atteggiamento simmetrico”, a suo dire in linea con lo spirito dello statuto.

Il riferimento è ad alcune dichiarazioni rilasciate da governatori centrali e consiglieri esecutivi del Nord Europa, tra cui la tedesca Isabel Schnabel. Questa aveva chiarito pochi giorni prima come tra il rischio di fare troppo e quello di fare troppo poco, preferisse di gran lunga il primo. Ha spiegato che la seconda opzione sarebbe, a suo avviso, maggiormente penalizzante per l’economia nel medio-lungo periodo. Visco non ci sta e cerca di tirare la fune dal lato del Sud Europa, dove le preoccupazioni per l’inflazione sono minori rispetto a quelle per le condizioni fiscali. L’aumento dei tassi BCE rischia di far salire eccessivamente la spesa per interessi in paesi come l’Italia, rendendo i debiti meno sostenibili.

Lagarde stretta tra falchi e colombe

Il mercato crede che i tassi BCE saliranno anche a settembre di un altro quarto di punto percentuale. Se così fosse, quelli di riferimento arriverebbero al 4,50% e sui depositi bancari al 4%. Mai c’era stata una stretta monetaria così vigorosa in tempi di euro. Il costo del denaro si è già portato agli albori della moneta unica. Non è detto che basti per fermare la corsa dei prezzi al consumo. Soprattutto, questa diverge profondamente da paese e paese. In Spagna, è già scesa sotto il 2%, meno di tre volte più bassa rispetto a paesi come Germania e Italia. E anche questo contribuisce ad alimentare le tensioni tra “falchi” e “colombe”.

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