Dopo l’inatteso rally seguito al collasso della lira turca ai minimi storici, nelle ultime due settimane il cambio è tornato a crollare e contro il dollaro arretrava di oltre il 20% nella seduta di ieri rispetto ai massimi toccati alla vigilia di Natale. E così, le autorità stanno gradualmente introducendo una stretta sui capitali, pur non dichiarandola tale.

Questa settimana, il governo ha reso noto che le aziende esportatrici dovranno convertire un quarto dei loro ricavi in valuta straniera, qualora fossero denominati in dollari, euro e sterline inglesi.

Ieri, poi, è arrivata la notizia che la banca centrale ha chiesto alle banche commerciali che dovranno d’ora in avanti segnalarle i clienti che acquistano grossi quantitativi di valuta straniera, tali da destabilizzare il mercato del cambio. Inoltre, esse dovranno fare presente ai clienti che volessero proteggersi contro la volatilità della lira di poterlo fare ricorrendo agli strumenti futures e a quelli forward dell’istituto, in alternativa al mercato spot.

La lira turca ha chiuso il 2021 con un deprezzamento del 44% verso il dollaro, causato perlopiù dal taglio dei tassi d’interesse della banca centrale. L’inflazione a fine anno risulta essere salita al 36%, a fronte di un costo del denaro ufficiale sceso al 14% dal 19% di settembre. Il presidente Erdogan non vuole sentire ragioni. Ritiene che l’inflazione la si combatta tagliando i tassi, sfidando la teoria convenzionale adottata nel resto del mondo. Crede anche che l’economia turca debba sottrarsi ai capitali stranieri che vi affluiscono nel breve termine per approfittare degli alti tassi e, infine, che bisogna sostenere le esportazioni e il credito.

Stretta in Turchia non frena i deflussi dei capitali

Nei giorni precedenti al Natale, il rally della lira turca del 35% era stato sostenuto dal varo di un piano “salva risparmi”. Il presidente Erdogan annunciava, infatti, che i risparmiatori otterranno il più alto tasso tra gli interessi offerti dalla banca e l’eventuale deprezzamento subito dalla lira per il periodo di detenzione dei depositi a 3 o 12 mesi.

Lo stato coprirà la differenza. Tuttavia, se è vero che circa 4,5 miliardi di dollari siano stati investiti dalle famiglie in questi nuovi depositi, il grosso del rally sarebbe legato agli interventi della banca centrale sul forex. I dati svelano che le riserve valutarie nette a dicembre siano scese di quasi 18 miliardi di dollari ad appena 8,6 miliardi.

Esaurito quasi ogni spazio di manovra dell’istituto, non resta che inasprire la stretta in Turchia sui capitali per frenarne il deflusso. L’unica alternativa sarebbe quella esclusa categoricamente da Erdogan: il rialzo dei tassi. Già con la crisi finanziaria del 2018, Ankara aveva introdotto misure limitative della libertà di circolazione dei capitali, inibendo tra l’altro la vendita delle obbligazioni in valuta locale.

La banca centrale stima un’inflazione al 17% entro fine anno, ma ci sono analisti che paventano una sua esplosione finanche tra il 40% e il 60%. Erdogan sta semplicemente cercando di guadagnare tempo per frenare il crollo continuo del cambio, ma non esiste una strategia di lungo periodo tesa a stabilizzare prezzi e lira. Anzi, con orgoglio il ministro delle Finanze, Nureddin Nebati, ha dichiarato che la Turchia ha “accantonato le politiche ortodosse”, pur volendo mantenere la solidità fiscale.

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