La Germania resta una potenza votata all’export, ma segna il passo. A giugno, le esportazioni tedesche sono diminuite dell’8% su base annua e dello 0,1% rispetto a maggio. La bilancia commerciale ha così esitato un avanzo in calo a 18,1 miliardi di euro, dai 20,6 del mese precedente. L’Ufficio Federale di Statistica conferma la flessione anche per i primi sei mesi dell’anno: esportazioni in crescita dello 0,5% a 666,1 miliardi, importazioni a +3% a 556,2 miliardi. L’avanzo resta elevato, cioè pari a 109,9 miliardi, ma si confronta con i 122,4 miliardi del primo semestre del 2018.

Dai dati, ricaviamo che il surplus commerciale tedesco sia diminuito di 12,5 miliardi in 6 mesi, qualcosa come un terzo di punto percentuale del pil (oltre mezzo punto, se annualizzato), contribuendo al rallentamento dell’economia in Germania, a rischio recessione quest’anno. Tuttavia, gli stessi dati ci offrono una panoramica meno negativa, quando dall’avanzo commerciale si passa a leggere quello delle partite correnti, anch’esso in calo da 130,6 a 126,4 miliardi. Il saldo corrente segnala l’andamento non solo dell’import/export commerciale, bensì pure di quello relativo ai capitali. Pertanto, facendo la differenza tra saldo corrente e saldo commerciale, otteniamo che nei primi sei mesi del 2019 i flussi dei capitali in Germania hanno generato un attivo di 16,5 miliardi, che si confronta con i +8,2 miliardi del primo semestre 2018.

Perché la bassa inflazione in Germania è il vero problema della BCE

Ma i capitali affluiscono ancora più copiosi

In altri termini, la Germania ha raddoppiato la capacità di attrazione netta dei capitali, nonostante la sua macchina produttiva si stia inceppando. Evidentemente, gli investitori esteri non appaiono preoccupati per le condizioni dell’economia tedesca, sia perché restano molto buone e migliori di quelle di gran parte delle altre economie avanzate, tra piena occupazione, avanzo fiscale, debito pubblico calante e privato stabilmente basso; sia anche perché la Germania è considerata un porto sicuro contro le tensioni internazionali, tanto che i suoi Bund si apprezzano quando in giro per il mondo serpeggiano timori di vario genere.

E, in effetti, il tracollo dei rendimenti tedeschi, già negativi a inizio anno, segnala proprio che i capitali esteri stiano dirigendosi presso la prima economia europea per paura della “guerra” commerciale USA-Cina, della Brexit e della politica italiana erratica e instabile, tanto per citare i principali fattori di rischio. Insomma, se la sfera economica traballa, quella finanziaria in Germania si rafforza. Una peculiarità, che contribuisce a lenire i problemi di Berlino, che contrariamente alla gran parte dei partner dell’area non sente certo il fiato addosso dei mercati nemmeno nelle fasi congiunturali avverse.

Anzi, proprio l’indebolimento dell’economia mondiale, tedesca compresa di riflesso, spinge gli investitori a portare i loro capitali in Germania, sebbene questi non vengano qui più remunerati lungo l’intera curva delle scadenze sovrane, con il risultato che i conti pubblici continuano a mantenersi molto solidi, con margini disponibili (e non sfruttati) per contribuire al rinvigorimento della domanda interna. Insomma, è come se la locomotiva d’Europa viaggiasse volutamente con il freno a mano tirato, mentre numerosi passeggeri le fanno segno di voler salire a bordo, pagandole il biglietto con cui avrebbe modo di acquistare più carburante per riprendere a marciare a ritmi decisi.

I tassi negativi in Germania provocheranno un terremoto politico ancora più forte

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