Il partito “chavista” di Nicolas Maduro e i suoi alleati hanno ottenuto il 91% dei seggi all’Assemblea Nazionale, a seguito della vittoria alle elezioni di domenica scorsa. Il fronte delle opposizioni nel complesso avrebbe ottenuto appena il 18% dei consensi e il 9% dei seggi. Bassissima l’affluenza alle urne, pari al 31% degli aventi diritto. Per quanto il voto non sia stato riconosciuto da gran parte della comunità internazionale, tra cui USA ed Unione Europea, esso avrà conseguenze molto drammatiche sugli sviluppi della crisi politica, istituzionale ed economica del Venezuela.

Le elezioni nel Venezuela di Maduro: chi non vota, non mangia. E il regime dichiara la vittoria

Poche ore fa, si è avuto un primo assaggio. Henrique Capriles, già due volte candidato contro Maduro alle elezioni presidenziali e leader di punta delle opposizioni, si è appellato a queste ultime per invocare la fine del governo ad interim guidato da Juan Guaido. A fine 2018, Maduro ottenne un secondo mandato non convalidato dall’Organizzazione degli Stati d’America, in quanto frutto di elezioni prive di libertà e democrazia. L’Assemblea Nazionale, che dalla fine del 2015 è stata per oltre i due terzi in mano alle opposizioni di centro-destra, non riconobbe la rielezione e proclamò presidente ad interim Guaido, il 35-enne a capo del Parlamento, in quanto prima carica in linea di successione rispetto alla presidenza della Repubblica.

Adesso, Capriles ritiene che per quanto le elezioni di domenica scorsa siano state una farsa, l’Assemblea Nazionale non possa tenere in vita un governo oltre la scadenza naturale del mandato, altrimenti si darebbe la possibilità allo stesso Maduro di procrastinare il suo mandato senza neppure più passare per nuove elezioni. Il problema si pone già per tutti quegli stati, tra cui l’America, che riconoscono Guaido come presidente. Adesso che c’è una nuova Assemblea Nazionale, il sostegno al leader anti-Maduro ha ancora legittimità istituzionale? E se no, chi dovrebbe essere riconosciuto al suo posto, fatto salvo che nessuna figura del regime possa trovare legittimazione nell’Occidente?

Le conseguenze su bond e politica interna-zionale

Queste tensioni si ripercuoteranno anche sulla vicenda della ristrutturazione del debito estero del Venezuela.

Il 13 dicembre scade l’ennesimo ultimatum posto da Caracas agli obbligazionisti in possesso di bond in dollari (titoli di stato, titoli della compagnia petrolifera PDVSA e della società elettrica nazionale) per circa 64 miliardi. Ad oggi, c’è già una forte confusione per il fatto che questi titoli sono stati emessi sotto la legge americana e la giustizia negli USA non potrà riconoscere l’autorità del regime “chavista”. Ma venendo inevitabilmente meno la figura di Guaido, chi altri teoricamente dovrebbe essere considerato responsabile per il debito venezuelano?

Sul piano interno, Maduro ha trovato legittimazione ai suoi pieni poteri e d’ora in avanti non possiamo escludere che arrivi a far arrestare i leader delle opposizioni che continuino a non riconoscere il suo governo. Non sembrano affatto le condizioni ideali per ipotizzare la ripresa del dialogo con Washington, quando alla Casa Bianca s’insedierà Joe Biden. Del resto, le prime sanzioni contro il paese andino furono adottate da Barack Obama. In più, probabile che il prossimo inquilino democratico non voglia ripetere l’operazione distensiva seguita da Donald Trump con il nordcoreano Kim Jong-Un, che non ha portato a risultati concreti. Crescono semmai le divisioni geopolitiche tra Occidente e regimi autoritari. Non a caso, Cina, Russia, Iran e Turchia si sono uniti agli alleati storici di Caracas, tra cui Cuba e Nicaragua, per complimentarsi con Maduro per la vittoria, suggellando la crescente separazione del mondo in blocchi contrapposti. E’ una Guerra Fredda, molto meno fredda, ma non per questo meno seria di quella che fu.

Bond Venezuela: tra elezioni farsa, ristrutturazione e incognita Biden

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