L’inflazione ha rialzato la testa e in America è salita ai massimi da 13 anni, al 5,4% per il mese di settembre. E così, il mercato starebbe scontando un primo rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve entro luglio/settembre dell’anno prossimo e un secondo nel resto del 2022. Variazioni nelle aspettative, che influenzano decisamente le decisioni d’investimento. Il classico portafoglio 60/40 già scricchiola.

Un investitore prudente, cioè con propensione al rischio medio-bassa, costruisce tipicamente un portafoglio composto per il 60% da azioni e 40% obbligazioni.

Nei decenni passati, questa impostazione diffusa tra i fondi pensione e d’investimento ha funzionato. Quando le azioni sono scese, le obbligazioni sono salite. E viceversa. Dunque, un portafoglio 60/40 consente all’investitore di bilanciare le perdite dell’uno con i guadagni dell’altro asset nelle varie fasi di mercato.

L’inflazione minaccia il portafoglio 60/40

Ma esso si regge sul presupposto di una correlazione negativa tra i prezzi dei due. Di recente, le cose non stanno più andando così. Stiamo assistendo nelle ultime settimane, ad esempio, a un calo contestuale sia delle borse che dei mercati obbligazionari. Succede che l’inflazione spinge a credere che le banche centrali interverranno prima o poi per mantenere la stabilità dei prezzi, tagliando gli acquisti di bond e alzando i tassi d’interesse.

La stretta monetaria avrebbe effetti depressivi sulla crescita delle economie, colpendo le borse. Al contempo, spingerebbero in alto i rendimenti sovrani e corporate, ergo riducendo i prezzi dei bond. In questo senso, la correlazione tra i due asset starebbe diventando positiva. E il punto è che le banche centrali si sono spinte così in là, avendo ecceduto con gli stimoli monetari e i bassi tassi. Ne è conseguita una bolla finanziaria che ha riguardato e continua a riguardare entrambi gli asset. Le azioni sono in molti casi sopravvalutate in rapporto agli utili e le obbligazioni prezzano a livelli tali da offrire rendimenti reali e persino nominali negativi lungo le curve delle scadenze.

Il portafoglio 60/40 poco potrebbe nel frenare le perdite, qualora tale correlazione positiva si mantenesse marcata nei prossimi mesi. A farne le spese, come dicevamo, sarebbero gli investitori istituzionali che più vi hanno fatto affidamento per cercare di tutelare i loro clienti, come nel caso dei fondi pensione. A rischio vi sarebbe la previdenza complementare di quanti dovrebbero andare in pensione a breve e, quindi, dovendo riscattare le loro posizioni presto non avrebbero il tempo di beneficiare dei recuperi. Per il momento, va detto, il portafoglio 60/40 continua ad esitare saldi positivi da inizio anno, ragione per cui non bisognerebbe eccedere nel pessimismo. Ma la minaccia esiste e con la fine di un’era nella sfera monetaria, può zavorrare i capitali di tanti sui mercati.

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