Ieri, Mario Draghi ha convinto i governatori del board sull’opportunità di adottare nuovi stimoli monetari per contrastare il rallentamento dell’inflazione e dell’economia nell’Eurozona. Sappiamo che è riuscito ad ottenere sostanzialmente tutto quello che aveva in mente, cioè il taglio dei tassi sui depositi “overnight” per 10 punti base e il ripristino degli acquisti netti di assets con il “quantitative easing” per 20 miliardi di euro al mese da novembre. Ma il governatore della BCE è a fine mandato, tra un mese e mezzo sarà succeduto da Christine Lagarde, a cui tutto il mondo adesso guarda per capire cosa riserverà di nuovo ed eventualmente inatteso nei prossimi 8 anni.

E la francese non solo sembra voler segnalare l’assoluta condivisione delle misure di Draghi e una sostanziale continuità con il suo operato, ma aprirebbe a ulteriori misure non convenzionali.

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Chi avesse letto o ascoltato con spirito critico il discorso tenuto una settimana fa all’Europarlamento, avrà dedotto che l’era Lagarde potrebbe dirigersi in acque ancora meno esplorate di quelle in cui si è azzardato a navigare Draghi con il “quantitative easing”. La donna ha dichiarato quanto segue: “Mi atterrò agli stessi principi: combinare il fermo impegno ad espletare il mandato con l’agilità all’adattamento, poiché il mondo attorno a noi cambia”. E ancora: “Sebbene l’impatto delle politiche non convenzionali continui ad essere positivo, dovremmo essere consapevoli dei loro effetti collaterali e prendere in seria considerazione le preoccupazioni delle persone“. Infine, ha puntato parte del suo discorso sul terzo pilastro della sua impostazione monetaria, quello della “inclusione”.

In altre parole, Lagarde difende l’impostazione di Draghi, pur riconoscendo che le misure monetarie non convenzionali possano avere effetti collaterali, per cui apre allo studio di nuovi provvedimenti all’insegna di quella “agilità” con la quale la BCE sarebbe maggiormente in grado di espletare il mandato, cioè di perseguire la stabilità dei prezzi.

Dunque, probabile che i suoi primi passi vadano nella direzione di potenziare gli acquisti netti di assets con il QE, ma se ciò dovesse mostrarsi inefficace e/o se si rivelasse controproducente per via della bolla obbligazionaria alimentata in questi anni, non avrebbe remore a spingersi ancora più in là, puntando su misure ancora più estreme.

Helicopter money, quali sembianze concrete?

Quali sarebbero? Il dibattito di questi mesi, non solo nell’Eurozona, gira attorno all’helicopter money, che sul piano pratico non sembra ancora essere stato studiato nei dettagli. “Lanciare moneta dall’elicottero” è una celebre espressione dell’economista e Premio Nobel, Milton Friedman, e che risale a diversi decenni or sono. Una provocazione, che allora puntava a chiarire come le banche centrali dovrebbero evitare di avventurarsi in misure che finirebbero per provocare diseguaglianza tra i cittadini, poiché l’accesso alla moneta non avviene per tutti loro allo stesso tempo e i primi ad arrivarci ne escono avvantaggiati, trasferendo sugli altri costi. Meglio sarebbe, quindi, paradossalmente sparare soldi da un elicottero, così che tutti possano accedervi in condizioni di uguaglianza.

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Nemmeno Draghi fa più spallucce alla domanda se la BCE punti a un suo helicopter money, anzi allo studio di Francoforte vi sarebbe stata già qualche anno fa l’idea di inviare per posta o tramite accredito bancario a ciascun residente nell’area una somma di denaro fissa e uguale per tutti. In questo modo si realizzerebbe quello che nel Regno Unito il leader laburista Jeremy Corbyn definisce il “QE for people”. Tutti avrebbero accesso all’iniezione di moneta extra nello stesso momento e spendendola immetterebbero sui mercati dei beni e dei servizi liquidità aggiuntiva, stimolando la domanda e i prezzi.

Un esperimento rischiosissimo, perché la perdita del controllo dei prezzi sarebbe sempre dietro l’angolo, ma il solo fatto che nessuno tra i governatori centrali esclude più di condurlo sarebbe il segno tangibile della loro disperazione, frutto della frustrazione per non essere riusciti dopo oltre un decennio dalla fine della crisi finanziaria ed economica mondiale del 2008-’09 a risollevare stabilmente le sorti dei paesi avanzati.

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