Comprereste una banana per 120.000 dollari? Scommettiamo di conoscere la risposta. Eppure, all’Art Basel di Miami, è stata esposta nei giorni scorsi la banana di Maurizio Cattelan, artista padovano, venduta all’asta per tale cifra. Cosa aveva di particolare? Era attaccata al muro con lo scotch. Un collega di Cattelan, tale David Datuna, ha pensato bene di staccarla, sbucciarla e mangiarla mentre visitava la galleria d’arte, definendo la sua performance “Hungry Artist”, letteralmente “Artista Affamato”, spiegando che solo lui avrebbe potuto dare vita a quell’esibizione, in quanto per l’appunto artista.

L’uomo è stato allontanato subito dalla vigilanza, ma non verrà multato. In effetti, la banana di Cattelan sarebbe stata sostituita in ogni caso, trattandosi di un bene deperibile. Raggiunto dai giornalisti, l’artista ha spiegato di non essere interessato alla fine della sua opera, perché “vale l’idea”. E qui è sorta una disputa tra l’artistico e il moralistico sul valore che una banana attaccata al muro possa avere.

In tanti, comprese personalità del mondo dell’arte, si chiedono come sia possibile valutare per 120.000 dollari l’ultima creazione di Cattelan. Non mancano gli insulti nei commenti del web all’indirizzo di chi abbia comprato l’opera per un prezzo così apparentemente ridicolo. Ci chiediamo: la banana di Cattelan può mai valere questa cifra? Per rispondere, dobbiamo per prima cosa distinguere tra prezzo di mercato e valore artistico dell’opera. Sul secondo, il giudizio non sarà mai unanime, così come mai lo è stato per nessuna creazione, nemmeno sulla “Monnalisa” di Leonardo.

Prezzo esagerato?

La banana attaccata al muro con lo scotch intenderebbe esprimere il senso del ridicolo che l’artista veicola a chi la osserva. E’ in linea con il suo personaggio, come il water d’oro o la scultura del dito medio puntato verso l’alto davanti Piazza Affari a Milano, una provocazione che da esposizione momentanea è diventata stabile, a rappresentare lo sdegno dell’uomo comune verso il mondo della finanza.

Tutto molto discutibile, ma d’altronde l’arte è questa.

Il prezzo di mercato, invece, ha fondamenta ben più oggettive. Esso lo determina l’incontro tra domanda e offerta. Sgombriamo il campo da un equivoco: il mercato non è di per sé etico. Anche la droga ha un prezzo e chi la vende sa di attentare alla salute di chi la compra, il quale a sua volta è conscio di acquistare un bene nocivo e potenzialmente letale. Eppure, l’incontro tra le due parti del mercato determina il prezzo di equilibrio. Lo stesso vale per qualsiasi altro bene e servizio, compresa la prostituzione.

La banana di Cattelan è stata acquistata per ammissione del suo creatore a soli 30 centesimi di dollaro in un mercato ortofrutticolo di Miami. Aggiungendo qualche centesimo per lo scotch, possiamo affermare benissimo che il suo costo a malapena sfiori un terzo di dollaro. Dunque, come si è arrivati a 120.000 dollari? Il prezzo battuto all’asta non riflette evidentemente il “valore” dell’opera, inteso come costo sottostante, quanto l’idea che si è intesi acquistare. E questa idea all’Art Basel di Miami ha fruttato parecchio, tanto che ha dovuto limitare gli ingressi per “troppa folla”.

L’immaterialità della banana di Cattelan

Purtuttavia, dobbiamo ammettere che nel caso specifico qualche dubbio lo si nutre ugualmente, non già per l’opera in sé, quanto per alcune sue caratteristiche peculiari. La banana, come dicevamo, è un bene deperibile, per cui l’acquirente non ha portato a casa un bene materiale, né Cattelan si è impegnato a recarsi al suo domicilio ogni 3-4 giorni per provvedere alla sostituzione con una banana fresca. Dunque, all’asta è stata battuta un’idea, cioè un bene immateriale, che per sua natura non è esclusivo, nel senso che tutti potremmo teoricamente sostenere di possedere in casa la banana di Cattelan, sebbene solo un soggetto al mondo l’abbia comprata realmente.

Ma essendo stato l’acquirente proprio la galleria d’arte, essa ha comprato effettivamente i diritti di esposizione dell’opera, più che l’opera in sé, pur corredata da 14 pagine di istruzioni su come provvedere alla sostituzione della banana.

Per intenderci, se l’aggiudicatario fosse un uomo comune, non avrebbe come rivendere a terzi l’opera, non potendo certo esibire una banana con lo scotch, trattandosi di un bene indistinto. Nel caso specifico, l’Art Basel potrebbe farlo, rivedendo nella sostanza i diritti di esposizione. Ma nemmeno se a comprare la banana fosse stato un privato ciò avrebbe messo in dubbio il prezzo dei 120.000 dollari, in quanto avrebbe riflettuto il “valore” assegnato dall’acquirente a una esperienza, non certo a un bene fisico in sé. Del resto, anche i servizi hanno natura immateriale e non possono essere rivenduti a terzi. Un taglio di capelli presso un parrucchiere di grido mi costerà una cifra certamente molto superiore a quella che sborserei presso un qualunque altro comune parrucchiere. In parte, l’extra capta la presunta maggiore professionalità, in parte l’esperienza che il cliente vive facendo ingresso in un ambiente giudicato esclusivo.

Per concludere, la banana di Cattelan è costata poco più di 30 centesimi di dollari e la galleria di Miami l’ha comprata a circa 360.000 volte tanto. Non c’è nulla di sbagliato o ingiusto in tutto ciò, visto che nessuno le ha puntato la pistola alla tempia. Opinabile che sia, l’opera veicola un messaggio irriverente, di derisione dell’uomo comune e questo messaggio è stato battuto all’asta, non la banana in sé. Il prezzo di mercato possiamo considerarlo come l’esborso ritenuto necessario dall’Art Basel per arricchire la sua collezione d’arte e darsi una visibilità che gli è subito tornata indietro in forma di pubblicità gratuita, specie dopo l’esibizione di Datuna, da sfruttare per aumentare il fatturato, staccando più biglietti e magari a prezzi unitari più alti.

Non ragionate con i moralismi, perché il mercato funziona su regole valide sempre e in ogni luogo e chi non le comprende è destinato a soccomberne ai meccanismi. Altra cosa è il dibattito sul valore artistico, che scommettiamo duri in eterno.

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