Piazza Affari è tornata questa settimana sopra 33.000 punti per la prima volta dal 2008. Investire in borsa sembra un affare da un po’ di tempo a questa parte persino in Italia, dove il mercato azionario era rimasto molto indietro rispetto agli altri e non riusciva a cancellare le perdite della crisi finanziaria mondiale fino a qualche mese fa. Di certo, lo è stato in quei paesi alle prese con problemi di inflazione alle stelle e svalutazione del cambio. I casi di Turchia e Argentina di questi anni confermano una conclusione nota agli analisti e agli stessi investitori: le azioni sono il rifugio per i capitali in cerca di protezione dalla perdita del potere di acquisto.

Investire in borsa con la lira turca a picco

Nell’ultimo decennio, la lira turca ha perso il 93% del suo valore contro il dollaro. Ieri, scambiava a più di 31,70 contro il 2,20 di dieci anni fa. Nello stesso arco di tempo, però, la Borsa di Istanbul ha messo a segno un rialzo del 1.305%. In altre parole, ai turchi è convenuto investire in borsa per salvaguardare i loro risparmi. Hanno grosso modo moltiplicato per 14 il valore nominale dei loro investimenti, all’incirca quanto è lievitato il rapporto tra dollaro e lira turca.

Se il confronto avvenisse, invece, con l’inflazione cumulata del 775%, i guadagni in borsa si sarebbero rivelati ancora più nitidi. In effetti, il capitale azionario medio oggi vale il 530% in più di dieci anni fa in termini reali. Investire in borsa è stata la soluzione perfetta per i turchi con una capacità minima di risparmio. Peccato che le famiglie a basso reddito non abbiano tipicamente queste possibilità, per cui è maledettamente corretto affermare che l’alta inflazione finisce per acuire le distanze sociali. Chi stava male prima, tende a stare relativamente anche peggio con il carovita.

Boom azionario anche in Argentina

In Argentina le cose non sono andate meglio.

Anzi, il presidente Javier Milei, in carica da meno di tre mesi, è stato costretto sin da subito a svalutare il cambio del 54% contro il dollaro. Dal dicembre del 2015, quando alla presidenza arrivò il centrista Mauricio Macri, i pesos perdono il 99% sia per il cambio ufficiale che al mercato nero. Per quanto le distanze tra i due tassi si siano ridotte, per strada servono più di 1.000 pesos per comprare un dollaro, quando ufficialmente ne basterebbero 845.

Investire in borsa è stata una scommessa vinta anche qui in Sud America. L’indice Merval guadagna in questi otto anni e rotti l’8.600%. Il capitale risulta essersi moltiplicato per 96 volte, mentre i prezzi al consumo sono esplosi di circa 57 volte. Questo significa anche che 1.000 pesos di oggi varrebbero quanto meno di 2 pesos di fine 2015.

Bitcoin meglio del mercato azionario

E sapete chi ha saputo fare meglio? I Bitcoin. Avrete sentito dire che la “criptovaluta” è popolare specialmente in quelle economie emergenti alle prese con l’instabilità finanziaria. Facendo due conti, troviamo che abbia svolto appieno il suo compito di protezione dall’inflazione e dalla svalutazione. Dieci anni fa, un Bitcoin si comprava per 455 dollari, corrispondenti a poco più di 1.000 lire turche. Ieri, valeva 66.700 dollari, pari a più di 2 milioni 100 mila lire turche. In termini reali, queste valgono quanto 243.000 di dieci anni fa. Siamo partiti da un investimento di 1.000 e siamo arrivati in dieci anni ad accrescerne il valore effettivo per oltre 240 volte.

E da quando è iniziato il declino inarrestabile dei pesos argentini, il Bitcoin è passato da 430 sempre ai 66.700 dollari attuali. In valuta locale e al tasso di cambio vigente sul mercato nero, è passato dal valere poco più di 6.200 pesos ad oltre 67 milioni di pesos. In termini reali, è come se l’investitore oggi possedesse quasi 1,2 milioni di pesos di fine 2015: quasi 190 volte in più il valore posseduto poco più di otto anni fa.

Perché investire in borsa conviene con l’alta inflazione

Riepilogando, investire in borsa è una buona strategia per cercare di mettere al sicuro i risparmi. Perché ciò avviene? I prezzi al consumo sono fissati dalle imprese, i cui ricavi tendono perlomeno a restare invariati in termini reali. Spesse volte, invece, crescono in misura superiore all’inflazione stessa. A patirne i costi sono i consumatori, il cui potere di acquisto scema. Le imprese quotate in borsa vedono così salire il prezzo nominale delle azioni in linea, se non più, con l’inflazione. E questo discorso vale al netto di un qualsivoglia effetto bolla.

Persino il Venezuela ha confermato questa capacità delle borse di tenere testa al carovita. Le azioni a Caracas sono rincarate in solo cinque anni del 563.300%, cioè sono cresciute di 5.633 volte. Sono stati anni di iperinflazione nel paese andino, durante i quali il valore dei bolivares si è letteralmente azzerato, tant’è che per gli scambi si usano perlopiù i dollari. Anche investire in borsa in uno dei paesi più comunisti al mondo ha avuto un senso.

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