I numeri sciorinati in Parlamento dal presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, sono eloquenti. L’istituto ha erogato nel 2012 pensioni ex Inps per 198 miliardi di euro, l’1,8% in più dei 194,5 miliardi del 2011. Ma bisogna anche aggiungere i 63,3 miliardi delle pensioni ex Inpdap ed ex Enpals, che portano il conto finale a 261,3 miliardi di euro (15,89% del pil), +66,9 miliardi sul 2011, di cui 63,3 miliardi connessi alla fusione con gli altri due enti. Dal 2012, infatti, gli istituti sono stati fusi e la gestione delle pensioni pubbliche è stata incorporata nell’Inps.

 

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In tutto, nel 2012, sono state corrisposte 21,1 pensioni tra previdenza e assistenza a 15,9 milioni di persone. L’importo medio è stato di 1.268 euro mensili, ma con forti differenze tra categorie di lavoratori e sulla base del sesso. Ad esempio, una pensione media ex Inps è stata di 881 euro al mese, una ex Inpdap di 1.725 euro; una ex Enpals di 1.175 euro.

Le differenze sono date dal fatto che nel settore pubblico c’è una maggiore continuità lavorativa, quindi, contributiva, mentre il peso delle donne e degli assegni calcolati sui minimi contributivi è più alto nel settore privato.

Quanto ai numeri delle diverse gestioni, le pensioni erogate al settore privato sono state nel 2012 18,3 milioni, di cui 14,6 milioni circa per prestazioni previdenziali e 3,6 milioni per prestazioni assistenziali.

E proprio con riguardo all’assistenza, si scopre che dall’inizio della crisi ad oggi, cioè dal 2009 alla fine del 2012, stando agli ultimi dati, l’Inps ha già speso qualcosa come 80 miliardi di euro in sussidi di disoccupazione, cassa integrazione e mobilità, distribuiti a circa 3,2 milioni di lavoratori all’anno.

Nel solo 2012, sono state autorizzate 1,1 miliardi di ore di cassa integrazione (+12% sul 2011), in favore di 1,6 milioni di persone, per una spesa di 6,2 miliardi. Oltre 1,4 milioni di persone, invece, hanno goduto del sussidio di disoccupazione per complessivi 13,7 miliardi di euro.

E 152.293 (+22,4%) lavoratori sono stati assistiti in mobilità, per una spesa di 2,8 miliardi.

 

Fusione Inps Inpdap: il corrozzone statale ha sporcato la vecchia previdenza sociale

Ma c’è un allarme che prevale sugli altri: quello dei conti in rosso dell’Inps. A causa della fusione con le sgangherate gestioni dell’ex Inpdap e dell’ex Enpals, l’istituto si ritrova a chiudere l’esercizio con un rosso di 8,9 miliardi. Il passivo è da collegare esclusivamente ai conti già in rosso dell’Inpdap, che aveva chiuso il 2011 con una perdita di 10,269 miliardi.

E il diverso stato dei conti dei due enti si è riversato negativamente sul patrimonio netto dell’Inps, passato da 41,297 miliardi di fine 2011 ai 22 miliardi del 31 dicembre 2012. In un solo anno, l’ex ente dei dipendenti pubblici si è mangiato qualcosa come 21 miliardi di euro di patrimonio.

 

SuperInps: bisogna preoccuparsi?

Il passivo dell’Inps dovrebbe preoccuparci? La risposta non è ovvia. Perché, in effetti, unificando gli istituti, si sono sommati i rispettivi conti, che prima erano separati. Ma da un punto di vista dell’intero sistema, ciò che importa è la somma finale e non tanto quanto sia il saldo dell’uno e quanto dell’altro ente. Tuttavia, i conti presentati da Mastrapasqua suonano come una beffa per i soliti noti. La fusione avrebbe spostato le passività dal disordinato settore pubblico a un settore privato che aveva i conti in regola. Detto in altri termini, i lavoratori privati saranno chiamati ad aggiustare i conti dissestati dei loro colleghi del pubblico impiego. Ciò sta già avvenendo con l’aumento della contribuzione a carico dei lavoratori autonomi e di quelli agricoli. Da un punto di vista politico, si tratta della scelta precisa di caricare il settore privato degli oneri connessi alle inefficienze del pubblico.

Certo, il ragionamento non è scontato. Il disavanzo dell’ex Inpdap (spesa in eccesso sui contributi versati dallo stato per conto dei dipendenti pubblici) veniva e viene coperto annualmente con risorse derivanti dalla fiscalità generale.

Da questo punto di vista non cambia nulla. I privati pagano i deficit del pubblico con le tasse.

Tuttavia, la fusione ha nascosto di fatto questo dato e ha impedito che lo stato fosse costretto a pareggiare i conti, attraverso tagli anche dolorosi sia agli assegni che, soprattutto, al numero dei dipendenti pubblici. Adesso, nessun problema. Pagherà sempre pantalone. Al solito. Altro che taglio del cuneo fiscale!