Gli agricoltori tedeschi avranno preso in parola Fabio Rovazzi, che anni fa spopolava cantando “Col trattore in tangenziale, andiamo a comandare”. Da giorni hanno indetto numerose proteste in molte città della Germania, dalla Baviera alla Porta di Brandeburgo a Berlino. Bloccate anche le autostrade con migliaia di mezzi per esprimere la loro rabbia contro la decisione del governo federale di eliminare i sussidi sul diesel e le sovvenzioni fiscali a favore della categoria. Un piano di risparmi per 900 milioni di euro, che servono come il pane per riequilibrare i conti pubblici dopo la batosta della sentenza costituzionale del novembre scorso.

Governo Scholz impopolarissimo

Di ritorno da una vacanza privata, il vice-cancelliere Robert Habeck, leader dei Verdi, è stato bloccato per ore sul traghetto dalle proteste e quasi tutti i partiti hanno condannato l’accaduto. La crisi politica è sempre più grave. Quest’anno, tre Laender andranno al voto: Sassonia, Turingia e Brandeburgo. In tutti è in vantaggio la destra euro-scettica di Alternativa per la Germania (AfD). Addirittura, in Sassonia i tre partiti al governo messi insieme (socialdemocratici, liberali e Verdi) otterrebbero il 14%. Solo gli ambientalisti riuscirebbero per un pelo ad entrare in Parlamento.

A livello nazionale, le cose non vanno molto meglio. L’SPD del cancelliere Olaf Scholz è scivolata al terzo posto nei sondaggi e si aggira intorno al 15% dei consensi. I liberali dell’FDP, capeggiati dal ministro delle Finanze, Christian Lindner, rischierebbero di non superare la soglia di sbarramento del 5% se si votasse oggi. E i Verdi sono scesi sotto il 15%, ai minimi da cinque anni. Dati nerissimi, specie in vista delle elezioni europee tra cinque mesi. L’opposizione cristiano-democratica supererebbe il 30%, marcata stretta da AfD quasi al 25%.

Locomotiva tedesca ferma, Francia a rischio recessione

Il malcontento non nasce a caso. L’economia tedesca va di male in peggio. Nel mese di novembre, la produzione industriale è diminuita di un altro 0,7% mensile per il sesto mese consecutivo, segnando un pesante -4,8% su base annua.

Si tratta del dato peggiore da quasi tre anni. A fronte di un +3,9% del comparto energia, le costruzioni hanno registrato il -2,9%. Negli ultimi cinque anni, la produzione industriale in Germania è crollata di oltre il 10%. Tra Covid e guerra, la “locomotiva d’Europa” si è fermata. Se nel 2023 è stata l’unica del G7 ad avere vissuto un calo del PIL, le previsioni per l’anno appena iniziato non appaiono incoraggianti.

E se Berlino piange, Parigi non ride. L’economia francese è sull’orlo della recessione, mentre l’inflazione a dicembre è risalita al 3,7%. Il malcontento è alto anche qui, tanto che ieri il presidente Emmanuel Macron ha licenziato la premier Elisabeth Borne dopo venti mesi e ha appena nominato al suo posto oggi il ministro dell’Istruzione, Gabriel Attal, 34 anni e omosessuale dichiarato, nonché sposato con un europarlamentare. L’immagine dell’Eliseo non si è più ripresa dopo le proteste dello scorso anno contro la riforma delle pensioni. Nei sondaggi vola Rassemblement National di Marine Le Pen.

Crisi in Germania e Francia paralizza Unione Europea

Germania e Francia costituiscono da decenni quell’asse attorno al quale ruota l’Unione Europea. La loro crisi sta paralizzando le istituzioni comunitarie, che sembrano incapaci di reagire agli eventi esterni. La posizione di Bruxelles nel mondo è diventata talmente marginale da far rimanere il Vecchio Continente senza una vera voce su tutte le questioni clou. E Scholz paga proprio questa sensazione dei tedeschi di non essere rappresentati all’infuori della Germania. Bene o male, Angela Merkel era riuscita a garantire loro una proiezione solida degli interessi nazionali in Europa e nel mondo.

C’è poco di cui compiacersi di tali crisi. Una Germania ferma o in recessione significa minori esportazioni italiane, specie verso il comparto dell’automotive tedesco.

E come ha dimostrato la lunga trattativa sulla riforma del Patto di stabilità, una Berlino politicamente debole ne irrigidisce la posizione all’estero. Macron lo conosciamo. Ogni volta che in patria le cose gli vanno male, veste i panni del bulletto a Bruxelles per rafforzare la propria immagine sciovinista tra i francesi. Non è questo lo spettacolo a cui vorremmo assistere tra guerre al confine e riassetto dell’ordine mondiale in corso.

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