Ieri, il dollaro si è confermato super sul mercato valutario, salendo a un tasso di cambio medio ai massimi dal marzo 2020 contro le altre principali valute. L’indice si è portato a 101, in crescita di oltre l’11% in un anno. Particolarmente forte si è mostrato nei confronti dello yen giapponese: il cambio ha sfiorato 129, salendo ai massimi da ben 20 anni. Se la Russia di Vladimir Putin punta a smantellare la finanza dollaro-centrica, di strada da percorrere ne ha tantissima. La sua guerra contro l’Ucraina sta finendo, infatti, per contribuire nel breve proprio al rafforzamento della valuta americana, incentivando gli afflussi dei capitali negli USA, in quanto “porto sicuro”.

Divergenza sui tassi fattore critico

Non c’è una ragione specifica per cui il cambio dollaro/yen si è portato ai valori più alti dal 2002. Essa è la stessa che tende a sostenere il cambio americano contro la generalità delle altre valute: la divergenza monetaria. Nei giorni scorsi, la Banca del Giappone ha segnalato di non volere aumentare i tassi d’interesse. Anzi, è intervenuta sul mercato obbligazionario per contenere il rialzo dei rendimenti. Non ha fretta di varare alcuna stretta monetaria, dato che l’inflazione nipponica resta bassa e sotto il target del 2%.

Viceversa, la Federal Reserve ha iniziato ad alzare i tassi a marzo e al board del 3-4 maggio dovrebbe aumentarli di altri 50 punti base (0,5%), se non di 75 (0,75%). Con un’inflazione a marzo salita all’8,5% negli USA, i margini di manovra per il governatore Jerome Powell sono nei fatti inesistenti. E oltre ad alzare i tassi, egli ha annunciato che da qui a breve inizierà persino a tagliare il bilancio dell’istituto, cioè a vendere i bond acquistati con il programma monetario di questi anni. La BCE è indietro anni luce rispetto a questa strategia, pur avendo un’inflazione al 7,5% a marzo. Ha semplicemente prospettato la cessazione degli acquisti netti di bond nel terzo trimestre, che equivale a porre fine agli stimoli monetari, non ad avviare la stretta necessaria per contenere l’inflazione.

Super dollaro si avvantaggia della guerra

Il super dollaro rimarrà tale con ogni probabilità finché la guerra tra Russia e Ucraina durerà. Fino ad allora, le mosse della BCE saranno sempre molto prudenti, dato che la fase bellica pone rischi all’economia europea. E solo con la riduzione della divergenza monetaria percepita tra le due sponde dell’Atlantico il cambio euro-dollaro potrà risalire in misura convincente. Lo stesso dicasi per le altre valute europee, sterlina in testa.

Tornando allo yen, è vero che la Banca del Giappone mantiene ancora i tassi negativi, ma il rendimento sovrano a 10 anni viaggia, ad esempio, su livelli reali ben maggiori a quelli degli omologhi americani: -0,65% contro -5,6%. In teoria, ciò dovrebbe sostenere lo yen contro il dollaro, riflettendo una valuta dai tassi reali più elevati. Finita la guerra – si spera assai presto – il biglietto verde potrebbe, dunque, vivere una fase di ripiegamento veloce, che in teoria finirebbe per accentuare l’inflazione americana. Viceversa, l’indebolimento del cambio euro-dollaro di questi mesi contribuisce ad accelerare il rialzo dei prezzi al consumo nell’Eurozona, considerando che gran parte delle materie prime si acquista in dollari.

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