La richiesta di Leonardo Del Vecchio alla BCE di salire fino al 20% di Mediobanca è diventata un rebus per le cronache finanziarie italiane. Esistono due opinioni contrapposte sull’esito di tale manovra. Una parte della stampa ritiene che conduca alla difesa dell’italianità della banca e della controllata Generali, un’altra che consegni questi due gioielli del capitalismo finanziario tricolore alla Francia. Il patron degli occhiali ha integrato da qualche anno la sua Luxottica con la francese Essilor e quando è entrato di recente in Mediobanca, lo ha fatto rastrellandone azioni attraverso la francese Natixis.

In più, la sua holding Delfin ha sede nel Lussemburgo e, infine, la sua scalata ha stranamente coinciso con l’uscita dal capitale di Unicredit, capeggiata da Jean-Pierre Mustier. Ciliegina sulla torta: il Leone di Trieste stesso è capeggiato da un francese, che risponde al nome di Philippe Donnet.

Mediobanca, così Del Vecchio vuole renderla francese con mezzo miliardo

E’ davvero un rischio se Parigi mette le mani sui due assets o si tratta solo di una questione di gelosie nazionali? La provenienza dei capitali di chi controlla una grossa società dovrebbe risultare neutrale ai fini della gestione, ma nel caso delle banche non è mai così. La banca svolge l’attività di raccogliere risparmio tra i clienti e di prestarlo a tasso più alto a imprese e famiglie. Mediobanca vanta masse raccolte per circa una sessantina di miliardi e prestiti alla clientela per 46, mentre detiene relativamente pochi titoli di stato italiani, per un controvalore di 3,3 miliardi.

I numeri di Generali, che controlla con quasi il 13% del capitale, si mostrano molto più alti: riserve tecniche per il ramo Vita a oltre 363 miliardi, assets gestiti per quasi 153 miliardi e 60 miliardi di BTp a bilancio. Chi riuscisse a detenere il controllo di Piazzetta Cuccia e, di riflesso, del colosso assicurativo, metterebbe le mani su centinaia di miliardi di risparmi italiani.

E credete per caso che una realtà francese abbia voglia di esporsi all’economia italiana, quando potrebbe portare in patria questa preziosa liquidità e prestarla a soggetti che già conosce e che operano in un tessuto economico di cui ha immediata percezione del rischio?

Ma c’è il golden power

Per non parlare dei BTp. Ormai, banche e assicurazioni italiane posseggono quasi la metà di tutto il debito pubblico italiano negoziabile e questo non è visto di buon occhio dalla BCE, che teme che i loro bilanci finiscano per esporsi eccessivamente alle criticità di quello statale. Finora, l’opera di “moral suasion” condotta in anni di pressioni e interventi regolamentari minacciati non ha esitato alcunché di pratico, data l’assenza di alternative praticabili immediate per il Tesoro. Con un sistema finanziario meno italiano, però, probabile che il dimagrimento dei BTp a bilancio degli istituti si concretizzi, come ha annunciato qualche mese fa Unicredit. Inizierebbe un progressivo disimpegno dall’Italia di quelle realtà che, in teoria, dovrebbero sostenerne l’economia con l’erogazione di prestiti a imprese, famiglie e stato.

Cos’è il Golden Power e perché il governo vorrebbe usarlo per le banche italiane

La situazione è molto delicata e non a caso, a suo tempo, persino un europeista convinto come l’allora premier e oggi senatore a vita Mario Monti previde l’esercizio del “golden power” per i casi in cui serva difendere la nazionalità di un asset da un’acquisizione estera. E tra i comparti tutelati vi è proprio quello bancario-assicurativo. La scalata di Del Vecchio, dunque, quale che siano le sue reali intenzioni, difficilmente esiterebbe la consegna di Mediobanca-Generali a un qualche soggetto francese, come Axa. Il governo avrebbe modo di reagire bloccando l’operazione, anche se il tasso di consapevolezza di tali problematiche e l’unità di intenti a Palazzo Chigi oggi risultano così penosamente bassi, che rischiamo il peggio per mancanza di avvedutezza.

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