La scorsa settimana si è conclusa sui mercati finanziari con una ennesima notizia clamorosa arrivata da Londra: la premier Liz Truss ha licenziato il suo ministro dell’Economia dopo appena 40 giorni dalla nomina. Kwasi Kwarteng, 47 anni, è stato il primo cancelliere dello Scacchiere – questo è il nome formale nel Regno Unito – di origini africane ad avere ricoperto tale carica, seppur per un periodo così breve. Al suo posto è stato nominato Jeremy Hunt, esponente di spicco del Partito Conservatore e già ministro degli Esteri nell’ultimo anno di governo della premier Theresa May.

Brutto a dirsi, ma gli investitori hanno festeggiato con rendimenti dei Gilt in calo, borsa londinese in rialzo e sterlina in recupero.

La cacciata di Kwarteng era, in un certo senso, inevitabile. Serviva una testa rotolante da offrire in pasto ai mercati e all’opinione pubblica dopo il caos finanziario scatenatosi con il varo della manovra di bilancio del nuovo governo. Oltre a 172 miliardi di sterline messi sul piatto contro il caro bollette, 45 miliardi tra taglio delle tasse e mancati aumenti di tasse già alzate dal governo Johnson. Tutto in deficit. I mercati non l’avevano presa bene: la sterlina era crollata ai minimi storici contro il dollaro, i rendimenti sovrani erano esplosi e la City era andata pesantemente giù.

Disfatta per Liz Truss

Truss era stata costretta alla marcia indietro, che adesso è praticamente totale. Si salveranno solo gli aiuti a famiglie e imprese contro il caro bollette. La Banca d’Inghilterra era dovuta intervenire per fermare la vendita di Gilt e impedire che si scatenasse una crisi finanziaria ai danni dei fondi pensione, in particolare. Non era mai accaduto prima che il Fondo Monetario Internazionale prendesse posizione contro la manovra di bilancio di uno stato del G7. Poche ore prima delle dimissioni, l’ex ministro dell’Economia aveva incontrato i dirigenti dell’istituto ed era rientrato a Londra in anticipo, forse consapevole del licenziamento imminente.

Una vicenda personale triste, perché triste è sempre quando la ragion di stato costringe a trovare un capro espiatorio. Kwarteng è da settimane tacciato dagli avversari e dal suo stesso partito di essere un incompetente. La verità è che egli aveva tradotto in misure concrete le richieste che gli erano arrivate proprio dalla premier Truss e che erano state promesse in fase di elezioni primarie ad agosto. Aveva vinto contro il cancelliere dimissionario Rushi Sunak proprio sulle politiche di bilancio. Truss voleva tagliare le tasse in deficit, Sunak le aveva persino alzate con la sua ultima manovra.

Truss paga un malinteso sul “thatcherismo”. Da giovane era stata una feroce avversaria dei governi della Lady di Ferro e forse per darsi un’immagine più consona per il mondo conservatore britannico, ultimamente ha cercato di recuperare rifacendosi pubblicamente e quotidianamente ai capisaldi della indimenticata premier Tory. Per questo ha promesso di tagliare le tasse in deficit, dimenticandosi che Margaret Thatcher ridusse sì le tasse ai contribuenti, ma tagliando contestualmente la spesa pubblica. Ella non credeva neppure all’efficacia di misure fiscali in deficit.

Ministro dell’Economia ruolo cruciale a Roma

Il caos di Londra arriva in un momento delicatissimo per l’Italia, dove questa settimana nascerà quasi sicuramente il governo di Giorgia Meloni. Il nome del ministro dell’Economia lo conosceremo solo all’atto della nomina ufficiale da parte del presidente Sergio Mattarella. Da giorni, però, in pole position c’è il leghista Giancarlo Giorgetti, che ha fama di essere un politico responsabile e competente. Insomma, l’unione apparentemente perfetta tra due mondi che in Italia da anni appaiono contrapposti: politica e tecnocrazia.

Giorgetti deve rifuggire dalla tentazione di prendere scorciatoie. Dovrà apparire massimamente affidabile con il varo della manovra di bilancio già tra poche settimane.

Non sono ammessi errori. Se persino il Regno Unito è stato punito dai mercati finanziari, immaginatevi l’indebitatissima Italia. Qualsiasi misura di spesa dovrà essere coperta da tagli ad altre voci di spesa o (speriamo di no) da aumenti delle già altissime tasse. E lo stesso dicasi per il taglio delle tasse. Non esiste che esso si ripaghi da solo. Chi ha studiato economia, lo sa o dovrebbe saperlo. Insomma, il governo Meloni non potrà pretendere di non scegliere: se vorrà meno tasse, dovrà trovare le coperture finanziarie. Da noi altrimenti non ci sarebbe il crollo del cambio come a Londra, ma il boom dello spread e il tonfo di Piazza Affari. E già siamo messi male in partenza. Meloni imiti la signora Thatcher, ma quella vera.

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