Il cambio euro-dollaro resta sotto pressione. Ieri, scambiava ancora sotto 1,12, perdendo oltre il 2% dai massimi di gennaio di 1,1450. La debolezza della moneta unica non sembra un fatto momentaneo. Dopo il primo board dell’anno della Federal Reserve, il mercato è passato dall’attendersi 3 massimo 4 rialzi dei tassi a 4-5. Per fine anno, infatti, vede il tasso d’interesse all’1,25-1,50% dallo 0-0,25% attuale.

Viceversa, la BCE non segnala alcuna intenzione di alzare i tassi quest’anno. Il governatore Christine Lagarde lo ha escluso, per cui la divergenza monetaria con Oltreoceano si amplia.

Mentre la FED azzererà gli acquisti di bond entro la prima metà di marzo, Francoforte continuerà ad ampliare il proprio portafoglio con acquisti legati al “quantitative easing”; il programma monetario ordinario sarà ampliato dopo la cessazione del PEPP a fine marzo. Nei restanti nove mesi dell’anno, prevede acquisti per 270 miliardi di euro.

C’è un apparente paradosso che sta dietro la debolezza del cambio euro-dollaro: mentre l’inflazione spinge la FED a restringere le condizioni monetarie, la BCE non avverte alcuna fretta, anzi si mantiene cauta. Il fatto è che il fenomeno sta impattando in maniera diversa sulle due economie. Negli USA, è il riflesso principalmente della robusta ripresa della domanda aggregata interna dopo la pandemia, unitamente al boom dei prezzi delle materie prime e dei colli di bottiglia. Nell’Eurozona, l’economia è ancora al di sotto dei livelli pre-Covid e il caro bollette rischia di allontanare la ripresa e di mandare in recessione la Germania.

Cambio euro-dollaro e fattore inflazione

L’Europa è dipendente dalle materie prime altrui, per cui subisce i rincari di petrolio e gas. La BCE teme di acuire la frenata del PIL nel caso in cui alzasse i tassi d’interesse. Anche la FED condivide il timore, ma gli USA non hanno accusato alcun aumento del gas, mentre sono produttori oramai di gran parte del greggio che consumano.

Dunque, per loro il rincaro di quest’ultimo si traduce in un impatto più ambiguo sull’economia, accelerando la crescita del settore energetico e al contempo creando uno shock dell’offerta per gli altri settori produttivi.

D’altra parte, un cambio euro-dollaro così debole mette pressione alla BCE, affinché non si allontani troppo dalla FED. Il resto lo stanno facendo i rendimenti sovrani. Il decennale americano offriva ieri l’1,80% contro il -0,02% del Bund di pari durata. Fintantoché le aspettative sull’euro rimangono positive, il differenziale è giustificato. Ma con il dollaro che non vuole sentirne ancora di indebolirsi, prima o poi l’obbligazionario si chiederà se, specie sul tratto a breve, abbia ancora senso acquistare i bond con rendimenti negativi dell’unione monetaria, anziché optare per quelli ben più generosi dell’America. Anche questi ultimi, tuttavia, offrono rendimenti estremamente negativi in termini reali.

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